Semplici emozioni è il suo nuovo singolo che sta passando in radio in questi giorni. Stiamo parlando di Filippo Neviani, in arte Nek, che in una pausa tra i suoi molteplici impegni ci ha concesso una chiaccherata amichevole al telefono. La voce del cantante di Sassuolo e il suo modo di parlare fin da subito mi hanno comunicato simpatia, cordialità e calore.



Quali sono stati all’inizio della tua carriera i tuoi cantanti di riferimento?

I primi cantanti a cui ho fatto riferimento erano country. Fin da piccolo ho iniziato a suonare la chitarra, influenzato molto da John Denver.
Poi sono arrivati i Police e tutto il mondo anni Ottanta. Quindi gli U2, che ancora oggi sono forti, e i Clash.
Facevo parte di una rock band nella quale suonavo il basso e cantavo, facevamo cover e iniziavamo a scrivere canzoni nostre. Il mio riferimento, al di là del country (che è stato la scoperta della melodia, delle grandi ballate, con gli Eagles, Simon & Garfunkel) è stata la musica pop-rock verso cui mi sono mosso e che sto tentando tuttora di portare avanti, magari con colori differenti.




Che tipo di cantante volevi diventare, avevi già un’idea precisa?

No, se ascolti i primi dischi c’è un insieme di tante cose, ovviamente un po’ confuse, come se buttassi sul tavolo un po’ di fotografie, in bianco e nero, sfuocate, a colori… I miei primi tre dischi sono stati così. Il primo era molto vicino a Sting, il secondo troppo pop, il terzo addirittura di musica elettronica. Ero in fase di sperimentazione perchè inesperto, guidato da un team di lavoro. Ascoltavo molto il consiglio degli altri perché mi sembrava fossero più focalizzati rispetto la mia volontà. Poi dal 1996, a partire dall’album di Laura non c’è, ho iniziato a trovare un po’ il mio stile.



Infatti l’ultimo album che hai realizzato, “Un’altra direzione”, va in questo senso, in più si nota una tua maturazione artistica. Hai curato personalmente gli arrangiamenti di alcune canzoni…

Si, non tutte le canzoni. Sono affiancato da un produttore artistico che è Dado Parisini che ha venticinque anni di esperienza ed è un grande personaggio. Mi sono sentito di migliorare la mia conoscenza attraverso il rischio, il senso di responsabilità artistica. Ho sentito l’esigenza di andare oltre alla co-produzione e buttarmi nella creazione del vestito di cinque canzoni. Mi sono divertito molto e lo rifarei, anzi nel prossimo album spero di farne molte di più.


Tra queste cinque, una canzone dal titolo Semplici emozioni. Cosa vuoi comunicare?

Attraverso la storia di una situazione sentimentale che apparentemente può durare, uno dei due dice “semplici emozioni vive sulla pelle”, sono quelle che contano. Il concetto lo puoi espandere. “L’amore non è solo una parola, io ci credo ancora”. C’è la necessità forte di provare emozioni, perché senza di esse non si può dire di vivere. Perché le emozioni siano forti non necessariamente devono essere da ricercare, basta siano pure e semplici. Io credo ancora alle semplici emozioni.

Come nascono le tue canzoni?

Dalla vita di tutti i giorni, che vivo io o che vivono persone vicino a me. Cose che recepisco, che mi vengono trasmesse, anche cose che leggo. L’ispirazione se la chiami non è detto che arrivi.
Bisogna lasciare aperta la porta e per farlo ci vuole un allenamento specifico, io cerco di suonare tutti i giorni approcciandomi alla chitarra o al pianoforte per vedere se c’è qualcosa di buono che può nascere.


Cosa ascolti in macchina o a casa?

La radio, ma anche vecchi dischi che ho, oppure cose che vado ad analizzare anche per ricerca, insomma spazio molto. Principalmente comunque la radio, fa bene ascoltarla.


In Italia alcuni temi sembrano pericolosi da toccare, vedi ad esempio il caso di Povia a Sanremo. A te successe qualcosa di simile sempre a Sanremo quando cantasti una canzone sul tema dell’aborto, In te. Mi puoi raccontare cosa ti era capitato?

Col senno di poi posso dire che mi sia capitata una delle prove più forti in cui potessi imbattermi, perchè avevo vent’anni e cantavo qualcosa di cui in realtà forse non conoscevo nemmeno profondamente il significato.
Cantavo qualcosa di molto pesante, nel senso di molto consistente, molto profondo. Io ho semplicemente raccontato e cantato una storia vera capitata ad Antonello De Sanctis che scrive i testi con me e che ha vissuto quell’esperienza parecchi anni fa ma che da quell’esperienza ne è rimasto toccato.
Mi ricordo che quelle parole mi presero e mi fecero venire la pelle d’oca, tutt’ora quando l’ascolto rimango esterefatto dalle parole perché esprimono la sofferenza che lui provava in quella strana situazione. Cantavo una cosa che oggi canterei in egual modo ma saprei rispondere. Si fa una grossa confusione tra libertà di poter agire come meglio crediamo e libertà che non sono di nostra competenza. Io non mi prendo la responsabilità e la libertà di ammazzare qualcuno. Qui entra in ballo anche la nostra coscienza. E ripeto questa persona che è accanto e me, è rimasta segnata per tutta la vita da questo fatto.

A San Siro le donne della musica italiana hanno offerto un grandissimo spettacolo in solidarietà con l’Abruzzo. Tu hai partecipato alla realizzazione di Domani per lo stesso scopo. Com’è stata la tua esperienza?

Bellissima. Mi chiamò Jovanotti cinque o sei giorni prima. Io ero in Spagna, in tour, quindi mi sarei dovuto dividere tra una data e l’altra. Ho accettato.
Appena arrivato ho incontrato un sacco di colleghi, baci e abbracci. Veramente una bellissima atmosfera. C’era lo scrittore Paolo Giordano che raccoglieva sensazioni a caldo sia delle impressioni ricevute delle immagini del terremoto che del momento che stavamo vivendo noi cantanti.
In quel momento eravamo meno cantanti e più persone, l’ego di ognuno di noi era azzerato, eravamo tutti allo stesso livello. Non importava chi aveva più esperienza, chi più successo, chi più anni o chi vendeva più dischi, eravamo tutti uguali. Mi è piaciuto molto. È un bel progetto, una bella canzone, molto profonda.
Mi è piaciuto il lavoro, come è stato gestito. Hanno chiamato e siamo andati, in questo genere di cose quando ti chiamano devi andare non si può stare ad aspettare troppo. La musica vive anche d’istinto. Inoltre ci siamo anche divertiti senza dimenticare lo scopo nobile, nonostante qualcuno abbia avuto il coraggio di scaricare gratuitamente la canzone, ma questa è un’altra storia.

Anche nel tuo sito c’è una sezione dedicata a iniziative di solidarietà…

Per chi è in una posizione privilegiata come la mia e si ha la fortuna di poter accorgersene, diventa quasi una necessità poter essere a disposizione degli altri. Poi che lo si faccia col cuore o per immagine, queste sono due cose completamente diverse, mi auguro di farlo sempre con trasporto. La beneficenza va sempre fatta e non detta.

L’ultimo tuo lavoro discografico contiene anche un duetto con Craig David, Walking Away. Con chi ti piacerebbe duettare?

Per ora non ho le idee chiarissime. Con Craig è nata una bella amicizia e probabilmente dopo le date spagnole ci vedremo a Miami. Non escludo che potrà nascere qualcos’altro. Lui viene dal mondo hip hop e r’n’b, sa che io arrivo da quello pop-rock e col connubio può nascere una buona miscela. Data anche la nostra amicizia, mi piacerebbe fare qualcosa con Sting in futuro.


Stai già scrivendo qualcosa di nuovo? Mi puoi dare qualche anticipazione?

La mia ipotesi è quella di andare in studio per la prossima primavera e uscire in autunno 2010.(Gloria Anselmi)