“Non ho voluto in alcun modo fare un commento dell’Apocalisse, ma soltanto motivare il mio desiderio della fine del tempo”.
Non a caso, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha proposto per la festa di Tutti i Santi una esecuzione del Quartetto per la fine del tempo di Olivier Messiaen. E in effetti, i tre solisti dell’Orchestra dell’Accademia: il violinista Carlo Maria Parazzoli, il clarinettista Alessandro Carbonare, e il violoncellista Gabriele Geminiani, raggiunti dal pianista Andrea Dindo, hanno regalato alcuni momenti sublimi, pieni dell’anelito per la vita eterna.
Dove ogni immagine viene meno, la musica di Messiaen può offrire una certa intuizione della vita divina – movimento eterno, pace e dinamismo insieme. “La musica può prepararci a tutto ciò come immagine, come riflesso, come simbolo”, scrive il compositore. E ancora: “La musica ci porta a Dio, per difetto di verità, fino al giorno in cui Lui ci abbaglierà per eccesso di verità. Questo è il senso della musica.”
Il pianista, come Messiaen avrà fatto nella prima esecuzione del Quartetto nel campo di concentramento in cui era imprigionato a Gorlitz in Slesia il 15 gennaio 1941, accompagnava con umiltà e precisione gli altri tre. Il violinista ha spiccato il volo nel suo assolo nell’ultimo movimento, Louange à l’Immortalité de Jésus, e altrove offriva una solida performance; un po’ meno il violoncellista, che mancava di potenza e continuità (il suo suono ruvido alla fine di ogni arcata impediva l’estasi durante il quinto tempo, Louange à l’Eternité de Jésus). Ma il clarinettista incantava: durante il terzo tempo, Abime des oiseaux. Carbonare ha letteralmente stregato il pubblico numeroso della Sala Sinopoli. Certe note lunghe nascevano dal silenzio, e non si riusciva a individuare il loro preciso cominciamento; altre erano delle grida potenti e primordiali come da uno chofar. Ha reso davvero la sospensione che Messiaen ha descritto sullo spartito: “Gli uccelli sono il contrario del Tempo; sono il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleni, di vocalizzi giubilanti”.
In un altro momento Messiaen aveva detto, spiegando il nascere del quartetto: “Quanto al carattere apocalittico, si conosce male l’Apocalisse se vi si vede soltanto un accumulo di cataclismi e di catastrofi; l’Apocalisse contiene anche luci grandi e meravigliose seguite da silenzi solenni.” Peccato che i silenzi del Quartetto non siano stati osservati a sufficienza; alcune pause, in particolare nell’ultimo movimento, sono state frettolosamente riempite di note e la voce recitante spezzava il silenzio necessario fra movimenti. Quest’ultima era una novità non prevista dal compositore; pare che gli organizzatori abbiano voluto aiutare un pubblico non troppo abituato alla musica del Novecento a entrarvi di più, attraverso le spiegazioni fra i tempi del quartetto.
I commenti erano profondi e parchi – poco più di ciò che Messiaen stesso scrisse sulla partitura – ed erano recitati con sobrietà da Sandro Cappelletto, ma il risultato era comunque il rovinarsi dell’atmosfera. Così i contrasti venivano meno, come anche la progressiva penetrazione del mistero del tempo, voluto dal compositore nell’alternanza di tempi meditativi e vigorosi.
Molto meglio sarebbe stata una breve introduzione prima del concerto, magari con qualche frase suonata per legare il commento al fatto musicale, e poi il quartetto di seguito senza più parole.
Qualche “difetto di verità” allora rimane, ma solo per prepararci all’eccesso di verità che ci aspetta nel mondo che compie ogni musica.



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