Amare qualcosa è un buon presupposto per giudicarla? Secondo me sì. A me accade con alcune composizioni che da extracomunitario – cioè: da amante del pop che invade il territorio della musica classica – adoro e conosco (scusate l’immodestia) a memoria.
In nome di quest’amore sabato sera ho raggiunto lo splendido Nuovo teatro comunale di Vicenza per una serata di musica russa. A programma c’erano Borodin e – soprattutto – Modesto Mussorgsky, due tra i più celebri musicisti della grande Russia ottocentesca.
Nella prima parte della serata presentate le Danze polovesiane di Alekandr Borodin e la Notte sul Monte Calvo di Mussorgsky, celebri e possenti visitazioni di miti e tradizioni, repertori capaci di spettri cromatici intensissimi, pagine in grado di eccitare le vocazioni spettacolari dell’orchestra sinfonica. Ma il momento forte della serata è stata l’esecuzione dei Quadri di un’esposizione di Mussorgsky, comunemente (e mi associo) ritenuti uno dei momenti più intensi della produzione Ottocentesca.
Dall’ingresso con la celebre melodia della Promenade al gran finale de La grande porta di Kiev, i Quadri introducono l’ascoltatore in un universo di suoni estatico e intimista, furtivo e maestoso, a dimostrare un caleidoscopio emozionale di rara efficacia.
Ho sempre amato, come spesso mi accade, la storia nascosta dietro l’opera. E in questo caso la storia è quella di un’amicizia che non passa, che travalica la vita e la morte, che segna ed emoziona chi la vive e chi è in grado di farne memoria.
Modest Mussorgsky era amico fraterno di Victor Hartmann, pittore di San Pietroburgo: i due hanno condiviso per quattro anni i sogni di una Russia rinnovata e restituita al gusto del bello e dell’arte pura.
Nel ’73 Hartman muore improvvisamente per un aneurisma, lasciando Mussorgsky senza l’amico più caro. L’anno successivo il comune amico Vladimir Stasov organizza all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo una mostra con oltre quattrocento dipinti del pittore scomparso: Mussorgsky visita l’esposizione per due volte nell’aprile del ’74 e rimane così coinvolto e commosso dalla visione dei quadri dell’amico, che nell’arco di sole sei settimane scrive – per pianoforte – i dieci quadri più la Promenade che costituiscono la suite.
Gli accadimenti successivi fan parte della storia della musica: Modesto terminerà la sua avventura terrena pochi anni dopo (1881), alcolizzato e i Quadri saranno orchestrati da Ravel nel ’22.
Una suite per celebrare l’amicizia e permetterle di “non passare”, dunque. E l’interpretazione che ne hanno dato il direttore Giancarlo De Lorenzo con l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza è stata quanto mai… fisica, come da senso profondo dell’animo russo: fortissima la presenza degli ottoni e imponente – come è giusto – l’impatto ritmico di tutta la serata, con i cinque percussionisti pervicacemente chiamati a interpretare le forze della natura, della visionarietà, dello spirito russo.
Così ci si è potuti emozionare per lo straordinario crescendo che chiude Gnomus (secondo movimento), come per il crepuscolo sottile delle Catacombae, come anche per tutto il capitolo luminoso de La grande porta di Kiev (decimo movimento).
Vivissima l’emozione complessiva, soprattutto riflettendo istintivamente sulla “gratuità” di Mussorsky, che con il suo genio ha voluto gettare una luce immensa sull’opera dell’amico. Ed è riuscito così – attraverso la musica – a eternare il tratto del pennello.



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