Dov’è finito il Brunello di una volta? Il concerto la sera del 5 dicembre, che chiudeva il ciclo delle Suites di Bach per violoncello all’Accademia Santa Cecilia di Roma, doveva «proiettare una luce diversa sulle Suites e sulle Sonate (di Vivaldi n.d.r.) evidenziandone aspetti particolari, tipici delle opere strumentali barocche: proprio come accade ai quadri o alle architetture, che ci svelano segreti sorprendenti grazie a una diversa illuminazione». Così scriveva lo stesso Mario Brunello nel programma.
In effetti non è stato il solito Bach. Ma nel cambio delle luci sull’architettura, forse è stato illuminato proprio un altro edificio.
Nella sua celebre registrazione delle Suites del 1993 Brunello proponeva una lettura personale, gradevole, fraseggiata e senza rotture con altre grandi interpretazioni del testo.
Nel recente concerto, ha proposto invece una lettura idiosincratica, che più che far parlare Bach faceva parlare Brunello. È legittimo, come scrive sempre il musicista nel programma, rivendicare «la figura dell’interprete come creatore di una forma. […] l’esecutore deve avere la libertà di muoversi laddove la sua sensibilità, la sua cultura e il suo bagaglio di esperienze lo portano». Legittimo, ma di facile fraintendimento. Nel momento in cui l’interprete cessa di servire l’opera e il suo compositore, nasce la tentazione di sostituirsi ad essa come centro dell’attenzione. E allora è molto più difficile perdonare i suoni inutilmente ruvidi, o l’approssimazione a volte imbarazzante nell’intonazione (sarà che nel barocco avevano orecchi meno precisi?), particolarmente fastidiosi nella quarta Suite.
Non sono nostalgico del ’93 e non ritengo che la novità sia una bestemmia in musica, ritengo invece che la vera novità è come lo sviluppo di un fiore (l’immagine è di Hegel). All’inizio, nel seme, o in un testo, non si vedono tutte le possibilità nascoste. Il fiore è una vera novità, una sorpresa, ma in continuità con la pianta.
L’interpretazione non può essere semplicemente l’assemblaggio di oggetti presi arbitrariamente da un mucchio di materia prima, il testo. Piuttosto, un’interpretazione matura mira sempre a restituire il testo nella sua interezza, come sviluppo organico, che include sempre anche la sua storia.
Non posso che sperare che la ricerca di ora porti Mario Brunello, davvero uno dei musicisti più interessanti e dotati sulla scena italiana, a una lettura di Bach più profonda, perché più umile.



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