Società dei Concerti di Milano, sala del Conservatorio Giuseppe Verdi, quello di Puccini, Abbado e Muti. L’idea è “sentite quanto sono bravi i nostri titolari di cattedra”: clarinetto, violoncello, musica da camera, cioé Sergio Del Mastro, Marco Scano e Luigi Zanardi. Garanti Beethoven, il cardinale arciduca Rainer (quello del Trio omonimo dedicatogli dal suo maestro Ludwig) e Brahms.



Una scrittura dedicata, di cui vien la voglia quando i grandi si innamorano di un solista incontrato per via: qui i clarinettisti Bahr per Beethoven, De Troyer per Rainer, Muhlfeld per Brahms. Il solista stupisce e il maestro concepisce, perfino il vecchio Johannes che a quel tempo aveva ormai appeso la penna al chiodo. Dunque programma al servizio del clarinettista Del Mastro, e da lui servito al meglio, insieme al compagno Scano. Ma a spiccare, per nitore di fraseggio e musicalità, è il maestro Zanardi.



Educatore da trent’anni di giovani virgulti d’ogni famiglia strumentale, purché in formazione cameristica; accompagnatore e sodale di grandi del calibro di Gazzelloni, Frittoli, Garbarino, Canino, Zanardi ha fatto in fin dei conti una strana carriera, in fondo mai puntando a mettere in luce i molti talenti riservatigli dal cielo e dalla buonissima educazione proprio qui ricevuta.

Gli è sempre bastata l’intesa con questo o quel gigante, e l’affronto, come nel concerto milanese dell’altra sera, di quegli altri giganti che nella storia della musica assegnano al pianoforte, anche in dimensione non solitica, un posto di splendente, e spesso ardua, centralità. Continua…



Zanardi sostiene, incoraggia e riordina al meglio il lavoro dei compagni, ma quando il compositore gli apre varchi di bellezza e di canto solitari, eccolo splendere di voci sottili e fraseggi autorevoli, mai ricorrendo alla routine o ad accensioni ad effetto. Ogni nota è chiara e al suo posto, ogni dinamica pensata e sensata, ogni malinconia o fiammata scelta con cura.

Ah, come ci piacerebbe ascoltarlo totalmente in proprio, specie in quel repertorio romantico che frequenta e sbriciola ogni giorno come pane per i suoi giovani allievi del Verdi. Finché l’educazione resterà, letteralmente, in mani come le sue, Milano alleverà musicisti come lui, dispensatori di poesia.