Forma e sostanza, rito e realtà. A Riccardo Muti piacciono i riti, ma solo se illuminano la sostanza delle cose. Per esempio, ieri mattina nell’aula del Senato, quando per il Concerto di Natale davanti a Napolitano, Schifani, Fini, il presidente della Corte Costituzionale Amirante, il sottosegretario Gianni Letta e il Segretario di Stato cardinal Bertone, ha condotto con quel piglio svelto e perentorio la “sua” Cherubini nell’inno nazionale, la forma era sostanza.



Muti, pur fresco del premio “musicista dell’anno” assegnatogli a New York dalla prestigiosa rivista Musical America, vuol bene al suo Paese, ai suoi simboli e persino ai suoi luoghi decisivi: è qui che il 2 giugno del ’46 fu proclamata la Repubblica. E più gira il vasto mondo – e più ahimè di questi tempi ne sente parlar male – più sembra invece abbia voglia di sostenerlo.



Non è vero che l’Italia è tutto uno sfascio, non è vero che c’è solo violenza e litigio, non è vero che il bene e il bello sono un’illusione. Qui, al cuore della nostra democrazia, si possono ricomporre i contrasti e finirla con gli insulti. Basta rimettere al centro la meraviglia e la grandezza di un genio come il Beethoven della Quinta Sinfonia, consegnarla a un gruppo di giovani musicisti scelti fra i migliori prodotti dai conservatorii di casa nostra, e guidarli con autorevolezza ed energia. Un’energia persino più perentoria e muscolare del solito, quasi il maestro volesse con più forza riaffermare qui le ragioni della bellezza.
 



E se c’è Raiuno in diretta e il garbo di Milly Carlucci a portarla nelle case degli italiani ancora meglio. Perché così si capisce che il messaggio di stamane è pace e amicizia, capacità d’intesa e di lavoro comune. La politica invita la grande musica (anche per sostenere l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù) e un po’ si mette alla sua scuola. Costruire, pensare positivo, lavorare insieme per il bene comune.

Muti porta in quest’aula una realtà di giovani che di mestiere praticano il rigore, l’intelligenza e l’armonia. Guardateli, sembra dirci il maestro: sosteneteli (e intanto si è fatto tramite di una bellissima lettera che hanno scritto al presidente Napolitano), fate come loro che crescono alla scuola del genio Beethoven ma anche a quella del sorriso intriso di malinconia del "Don Pasquale" di Donizetti. Chissà che la musica suonata oggi non rieccheggi per un po’ anche nelle teste dei politici che qui si confrontano ogni giorno. Vuoi mai che gli porti consiglio… (in cauda venenum: non è che il clima in aula è peggiorato anche perché l’anno scorso Palazzo Madama aveva invitato Giovanni Allevi?).