Giunge alla Fenice di Venezia l’allestimento di Madama Butterfly che Daniele Abbado aveva ideato lo scorso anno per il Teatro Petruzzelli di Bari. Seppur con qualche modifica, è stata riproposta l’idea di fondo dello spettacolo: dar vita a uno spazio scenico capace di ricreare quell’atmosfera claustrofobica che, lungo lo svolgersi dell’opera, viene gradualmente a pesare sulla casetta di Nagasaki dove si consuma la tragedia della fanciulla Cio-Cio-San, una tragedia di abbandono, ma soprattutto di incomprensione fra culture lontane, fra universo maschile e femminile. È noto come la forza tragica dell’opera giapponese di Puccini scaturisca dal graduale concentrarsi della tensione drammatica attorno alla figura della protagonista, che diviene via via il centro focale della scena, in uno svolgersi di eventi sempre più prevedibilmente destinato al suo epilogo tragico.
Il regista ha sottolineato questa concentrazione drammatica immaginando una scena fortemente centripeta, dalla prospettiva centralizzata ed esageratamente scorciata (in maniera quasi espressionista), avvolta in un velo di asettica astrattezza e quasi priva di dettagli realistici, in cui le varie fasi dello sviluppo drammatico vengono scandite unicamente da cambi di luce dal chiaro valore simbolico, sopra una tonalità predominate di un bianco luminosissimo (in Giappone il colore del lutto). Ne è risultato un congegno teatrale efficace in cui l’elemento esotico, importante nell’economia dell’opera, è suggerito unicamente dai costumi (ideati da Carla Teti) e dalla gestualità composta dei personaggi giapponesi, il resto lo ha potuto fare la musica di Puccini.
Molto buono il cast vocale, con una Micaela Carosi (Cio-Cio-San) in perfetta forma, che ha dato voce a una Butterfly forse poco fanciulla, ma di grande spessore drammatico e vocale, più convincente, quindi, nella fase finale dell’opera dove la protagonista, da ingenua adolescente che è nel primo atto, si trasforma nella grande eroina tragica che tutti conosciamo (memorabile il suo Tu, tu, piccolo Iddio). Molto buone anche la performance di Rossana Rinaldi (Suzuki) e di Gabriele Viviani (Sharpless); il tenore Massimiliano Pisapia (F.B. Pinkerton) ha interpretato con giustezza la sua parte, purtroppo a tratti la sua voce è stata ostacolata da un’orchestra non sempre bilanciata. Discutibili, infatti, sono state alcune scelte interpretative del direttore Nicola Luisotti, soprattutto riguardo ai tempi: il probabile intento di ricercare qualche soluzione originale attraverso la scelta di tempi musicali esageratamente veloci ha, in realtà, fallito. L’unico risultato ottenuto è stato quello di togliere spessore e pienezza alla trama sinfonica pucciniana: ne hanno risentito soprattutto il duetto d’amore che chiude il primo atto e la scena finale del suicidio.



(Marco Targa)

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