Il sole fa brillare il marmo bianco del Duomo di Milano, il cielo è aperto. È una serata speciale, tra poco l’orchestra e il coro dell’Accademia delle Opere, diretti dal M° Diego Montrone, e la Cappella Musicale del Duomo, daranno vita a un concerto lassù in cima, in una foresta di pinnacoli, tra le statue e le guglie, a pochi passi dalla Madunina.
È il primo appuntamento, in occasione di EIRE (Expo Italia Real Estate), di “Ascoltare la Cattedrale”, iniziativa coraggiosa che consigliamo di non perdere (17 e 23 giugno, 1 e 15 luglio i prossimi appuntamenti), in grado di unire la valorizzazione di un tesoro della città alla raccolta dei fondi per la sua manutenzione.
In programma i Quattro Pezzi Sacri di un compositore legatissimo a Milano, quel Giuseppe Verdi di cui si apprezzano le grandi opere e di cui si conoscono meno Ave Maria, Laudi alla Vergine Maria, Stabat Mater e Te Deum, che, assieme al Requiem scritto per la morte di Alessandro Manzoni, mostrano l’altro volto del Maestro di Busseto. Composizioni della piena maturità, pubblicate da Ricordi tre anni prima della sua morte ed eseguite per la prima volta nella Settimana Santa dello stesso anno (il 1898) a Parigi.
Il pubblico e le autorità prendono posto sui seggiolini disposti a piramide, mentre il palco dell’orchestra è ai piedi della statua tuta d’ora e piscinina a cui i milanesi non dimenticano di volgere lo sguardo.
A lei sono dedicati tre dei quattro brani: Ave Maria, per coro a quattro voci a cappella, costruita su una scala enigmatica, ostica e impervia come quella che le signore con i tacchi alti hanno affrontato per salire quassù. I bassi la intonano con note lunghe in senso ascendente e discendente e, su questa impalcatura, che passa poi pressochè identica ai contralti, ai tenori e ai soprani, Verdi costruisce e innalza il suo splendido canto alla Vergine.
Gli accordi di quinta ribattuti da archi, fagotti e corni annunciano lo Stabat Mater esposto solennemente dal coro (La Madre addolorata stava in lacrime presso la Croce su cui pendeva il Figlio). Le sofferenze di Maria, e del suo animo come trafitto da una spada, ci vengono mostrate in tutta la loro tristezza, squilli di tromba e di disperazione sottolineano le colpe che ne causarono il dolore (Pro peccátis suae gentis/ vidit Jesum in tormentis/ et flagéllis subditum), ma il terrore lascia il posto al conforto e alla speranza di una vita futura annunciata, dopo che con delicatezza il compositore accompagna la morte del crocefisso con i lenti sospiri del coro in unisono (dum emísit spíritum).
Ogni volta che si alza lo sguardo lo spettacolo è sempre maggiore, il cielo è sempre più scuro, le guglie illuminate si colorano, la statua della Madonna risplende, mentre la città che prima si faceva ancora sentire, sembra in ascolto e accende le sue luci.
Il vento, solo per un attimo, dà qualche noia alle partiture e ai microfoni che tentano di sopperire all’acustica della terrazza, che mai prima d’ora aveva ospitato un’orchestra.
È il momento delle Laudi alla Vergine Maria su testo immortale di Dante (Vergine Madre, figlia del tuo figlio…) dall’ultimo canto della Divina Commedia, poi la lode del Te Deum che comincia prendendo le mosse dal gregoriano per poi esplodere incredibilmente nel boato del Sanctus, Sanctus a cui segue una grande ricchezza di colori diversi ad esprimere la complessità del testo.
Applausi meritati e convinti, per una serata da ricordare. C’è anche il tempo per alcuni graditi bis come l’Ouverture dell’“Egmont” op. 84 di Beethoven e di nuovo Verdi, questa volta la preghiera alla Madonna è presa dal repertorio operistico, con La vergine degli angeli da “La forza del destino” (il soprano Donatella Colletti appare ancora più in alto, come d’incanto, tra le guglie). Chiude il Va’ pensiero dal “Nabucco” con il coro che scende tra il pubblico per uno dei canti di popolo più famosi della storia della lirica.
(Carlo Melato)