Alcune sere fa ha suonato a Milano una delle più famose rock band americane, i Lynyrd Skynyrd.
Il nome non dice nulla a molti, ma la più nota delle loro canzoni, Sweet Home Alabama, probabilmente è conosciuta anche dai poppanti. Concerto da non perdere: soprattutto per chi ama visceralmente il rock americano verace, quello del Sud degli States, fatto di bandiere confederate, tante chitarre, ritmi e melodie come commistione di ispirazioni country, blues, folk.



Concerto da non perdere e infatti ero lì insieme ad altri seimila, come già dodici anni fa (il loro primo show in terra italiana), a raccogliere emozioni sparse, tra canzoni “epocali” (la lunghissima Freebird, inno alla necessità di andare, di non fermarsi, di non accasarsi mai) e piccole perle di saggezza “contadina” come Simple ManMia madre mi disse, quando ero giovane/ Prendi il tuo tempo/ Non vivere troppo velocemente/ I guai arriveranno e se ne andranno/ Vai e trovati una donna/ E troverai l’amore/ E non scordarti, figlio mio/ Che c’è sempre Qualcuno là sopra/ E sii un tipo d’uomo semplice/ Sii qualcosa che tu puoi amare e capire»), tra rabbiose canzoni contro le sostanze che distruggono l’uomo e la sua capacità d’amare (That smell, The needle and the spoon) e canzoni sull’orgoglio delle proprie radici e della propria voglia di esprimersi (Workin for Mca).



I Lynyrd Skynyrd sono una leggenda americana, ma sono anche una storia… misteriosa. Dei sette componenti originari solo uno, Gary Rossington, è ancora in scena. Gli altri (a parte due che non fan più parte della compagnia per motivi non artistici) sono tutti scomparsi: chi in incidenti aerei o automobilistici, chi per infarto, chi per un cancro inarrestabile. A ogni nuovo lutto, pare che tutto si fermi, invece Gary, the last man standing, rimette ogni volta la macchina in carreggiata e riparte. Strano pensare al destino di questa grandissima band riflettendo su tutte le lapidi rimaste sulla sua strada.



È ancora vita da rocker? Oppure è incapacità di abbandonare? È una malattia? Chi c’è dietro la leggenda e come vive? L’ultimo degli scomparsi, il pianista Billy Powell, era un buon uomo che partecipava alla vita della sua comunità cristiana in Florida, e al funerale ha visto una presenza affollatissima di bambini orfani della scuola che per lunghi anni ha contribuito a sovvenzionare. Dunque: c’è vita dietro la facciata! Chi sono allora queste persone “dietro” la facciata da rockstar? E perché proseguono anche quando il destino pare così poco benevolo, arruolando giovani musicisti di talento per proseguire l’avventura?

Non so rispondere con freddezza. Non so se è destino o mestiere o impossibilità a staccare. Una band stupenda, di rara efficacia, eppure… fuori dal mondo. Pensando alla magnifica e commovente Simple Man (dedicata durante lo show proprio a Billy Powel), spero che anche i Lynyrd, riguardandosi allo specchio siano capaci di essere qualcosa di semplice, qualcosa che loro stessi possano amare e capire al di là delle fredde leggi dello show business, quelle che – come sappiamo bene – predicano sempre che lo show deve continuare a qualsiasi costo.