Uno dei concerti totalmente esauriti del finora assai riuscito Milano Jazzin’ Festival non aveva nulla a che fare con il jazz, ma moltissimo con la memoria di intere generazioni. Perché James Taylor è ormai capace di riunire i trentenni, i quarantenni, i cinquantenni e i sessantenni intorno al sapore di una meravigliosa proustiana “madeleine” in grado di ricordare tanto la giovinezza che la maturità.
I seimilacinquecento che hanno compostamente affollato l’Arena Civica di Milano rappresentavano lo spaccato di tre generazioni che hanno amato (e amano) indistamente tutte le canzoni del grande cantautore. E bastava un iniziale mezzo arpeggio di Sweet Baby James per far scattare l’applauso. Dopo essere stato già l’anno scorso a Milano accompagnato solo dall’eccellente pianista e organista Larry Goldings (un altro concerto tutto esaurito), James è tornato accompagnato dallo stesso Goldings e da alcuni dei suoi storici accompagnatori, tra cui Steve Gadd alla batteria e Michael Landau, chitarrista già leggendario tra gli appassionati (tra l’altro dietro le quinte ha annunciato che tornerà presto in Italia con un suo gruppo) e lo stesso Goldings alle tastiere e al pianoforte.
Il concerto ha costituito un vero e proprio momento di grazia: James è simpatico, molto gentile, e comunica a tutti il fatto che lui con la musica si diverte ancora. E il pubblico ha risposto sinceramente, ora battendo le mani a tempo ora canticchiando in coro classici come You’ve got a friend, Carolina on my mind, Steamroller blues, divertendosi per l’ennesima volta come fosse la prima alla vecchia gag del bluesman balbuziente. Dopo aver cantato molti dei suoi classici, imbracciando due splendide creature realizzate dal suo liutatio di fiducia, Jim Olson, James “ha indossato ” una telecaster sunburst e ha dato vita a un siparietto tutto dedicato a brani del repertorio di Wilson Pickett.
È stato un momento rock molto intenso, nel quale sia Landau che Goldings hanno potuto mostrare appieno le loro doti, mentre James si divertiva a far il rockettaro. I
nsistenti le richieste di bis che sono state abbondantemente esaudite, incluso un emozionante finale a cappella eseguito con i tre straordinari coristi da soli.
Una parola va proprio spesa per questi ultimi, ai quali James dà molto spazio, anche perché sono qualcosa di più di semplici coristi. Così facendo lo spettacolo si è presentato molto vario, con molte sfumature diverse, rese possibili dall’interpretazione di canzoni originali, di cover (Taylor ha inciso da non molto un album tutto dedicato a canzoni altrui che ha saputo intelligentemente fare sue) e di brani rock e soul.
Grande serata, quindi, premiata anche da una lieve brezza che ha accarezzato le tante, entusiaste generazioni presenti.
(Alberto Contri)