Generalmente quando vado a un concerto mi preparo: acquisto l’ultimo cd, o guardo cosa c’è in casa dell’artista che sto per andare ad ascoltare. Stavolta no, il nuovo cd uscirà fra poco e il poco tempo mi ha impedito la ricerca. Ma i dischi (in vinile) di George Benson a suo tempo li avevo consumati, e quindi nella memoria è rimasto il tocco inconfondibile e lo stile figlio di Wes (Montgomery) insieme a un fraseggio fluido e ricco e alla voce che spesso usa all’unisono con la chitarra negli assoli o per affrontare brani melodici che si diletta a cantare.
Entrando si capisce che il Gotha della chitarra milanese si è nuovamente mobilitato per venire a onorare il Maestro: fra molti altri i profili inconfondibili di Franco Cerri e Gigi Cifarelli si stagliano e danno alla serata un’aura di ufficialità.
Il tempo di un buonasera e si parte! Alla rispettabile età di 66 anni, Benson è in forma smagliante e, pur senza andare nel dettaglio dei pezzi, la serata presenta all’inizio dei brani di vena più jazzy-soft-funky che lo hanno reso famoso (l’album “Breezin’’”del 1976 fu onorato del Grammy award – George Benson ne ha vinti 10 in tutto), intervallati da una serie di slow ballad in cui Benson talvolta abbandona la chitarra per mettere in mostra le sue indubbie doti vocali (Nothing is Gonna Change my Love for You e In your Eyes). Due slow di seguito sono un po’ troppo per il mio spirito poco sentimentale, ma subito dopo si ri-sgroppa con il funky di Turn Your Love Around, che sfocia nella cover di Golden Slumbers di beatlesiana memoria. Poi si va più verso il funky con Never Give Up e con il pubblico tutto in piedi a ballare, si arriva ai bis, conclusi dall’immancabile On Broadway.
Con Benson sul palco collaboratori grandissimo valore, a partire dalla seconda chitarra, il californiano Michael ‘O Neill, Randy Waldman alle tastiere, Stanley Banks preparatissimo bassista ricco di groove e sopra tutti lo straordinario batterista Teddy Campbell, assolutamente impeccabile, senza una sbavatura, originale nei colpi e vero motore di tutta la band.
Rispetto a George Benson la domanda è sempre la stessa, da lunghissimi anni: ma non potrebbe indulgere un po’ meno sulla vena pop-romantico-sentimentale e farci godere di più del suo tocco, del suo fraseggio, magari rileggendo alla sua maniera altri standard? Eppure evidentemente a questo artista piace in egual misura suonare il suo strumento e cantare, essendo largamente dotato in entrambe le discipline. Tenendo poi conto che certo, il suo fraseggio è tipicamente jazz, ma tuttavia anche la vena dei brani strumentali tende verso il funky e l’easy listening. Anzi a un certo punto, con qualche luce psichedelica in più e una mirror ball appesa in altro si sarebbe potuta confondere l’Arena di Milano con lo Studio 54 di qualche decina di anni, quando anche la Disco Music era tutta suonata davvero…
In conclusione, tutto sommato un buon concerto, direi un classico; resta in bocca lo stesso gusto di quando si assaggia qualcosa di cui si conosce già il sapore, ma che ultimamente è buono, di qualità. Ben venga allora, per una serata fresca di luglio, questo sussulto di quella che una volta si chiamava Fusion.
(Walter Muto)