Cremona: la città di Stradivari e di Monteverdi, ma anche della mostarda e del torrone. Parco Tognazzi: una testimonianza della città a personaggi famosi dello spettacolo, da Mina a Tognazzi appunto. Indizi che ci portano fuori strada, ma fortemente collegati a un grande evento musicale: il concerto di Patti Smith.



A quasi 63 anni Patti Smith sale ancora volentieri sul palco dove si muove leggera, sinuosa e con la medesima grinta che l’ha sempre contraddistinta, con una voce potente, rauca e ammaliante e, soprattutto, con il suo gruppo storico quasi al completo.

Il Patti Smith Group si forma nel 1974 per supportare le letture di poesia della giovane Patti, cresciuta sulle opere di William Burroughs e Arthur Rimbaud nei locali di New York, ma soprattutto per registrare “Horses”, suo primo e straordinario disco. C’erano già a quell’epoca Lenny Kaye e Tom Verlaine (prestato dai Television) alle chitarre e J. Dee Daugherty alla batteria; alla serata cremonese si è aggiunto Tony Shanahan al basso.



“Horses” non è solo il disco d’esordio di Patti ma il suo manifesto, la sua dichiarazione al mondo; a partire dalla copertina dove appare eterea, essenziale, scapigliata in una bellissima foto dell’amico Robert Mapplethorpe; all’interno dell’album una sua poesia, anticipatrice della coscienza new-wave che si esprimerà al massimo in “Radio Ethiopia” del 1976,  che si conclude con la dichiarazione «dolci angeli – mi avete permesso di non aver più paura della morte».

Veramente un album eccezionale, senza tempo, tanto che le sue canzoni sono alla base di moltissimi concerti, come questo a Cremona. Nella calda serata di fine estate l’arena è gremita: è facile notare che la maggior parte del pubblico non è proprio giovanissimo; tutti composti, a sedere, si abbassano le luci.



Patti Smith sale sul palco accompagnata da molti applausi, jeans – una gamba arrotolata e l’altra infilata negli stivali, maglia bianca, giacca blue e una singolare berretta arancione che non riesce a coprire completamente i lunghi capelli e dalla quale sfuggono due trecce.

L’apertura del concerto è affidata a Frederick (da “Wave” del 1979) con una voce ancora non calda e rodata che subito ci fa temere che Patti sia sotto tono; non è così e lo dimostra subito andando a pescare proprio da “Horses” due bellissime canzoni, Kimberley e Birdland, che ci propone un’interpretazione particolarmente intensa.

Canta, balla, legge una poesia, ma si vede che ha voglia di parlare con il pubblico, di dimostrare ancora una volta di non essere una cantante-diva, di avere la necessità di un dialogo e di un contatto con le persone.

Ci racconta di aver passeggiato per Cremona nel pomeriggio, di aver mangiato un gelato e visitato il Duomo e dice: «È grandioso, magnifico. Ma era vuoto. Andateci, anche se non siete religiosi, andateci per pensare, per sognare».

Riprende a cantare e suonare la chitarra acustica: si susseguono Dancing Barefoot con il ritornello “she” e il parlato dove Patti dimostra la flessibilità e purezza della sua voce, la morrisoniana e sincopata Gloria, Ghost Dance dove conferma le sue abilità canore con il noto refrain “Tayi, taya, tayi, aye aye”, We Three, Peaceble Kingdom che presenta il sentito e attualissimo messaggio di pace (“Maybe one day we’ll be strong enough – To build it back again – Build the peaceable Kingdom – Back again”), Free Money ritmata, quasi punk, Break it Up poetica, ma allo stesso tempo violenta.

Ancora un contatto con le persone sotto il palco con un servizio d’ordine che non fa assolutamente barriera, ma spesso solo da sostegno a Patti che si sbilancia verso il pubblico.
Riprende a cantare anzi a recitare People Have the Power (da “Dream of Life” del 1988) con il suo poetico incipit: “I was dreaming in my dreaming – of an aspect bright and fair – and my sleeping it was broken – but my dream it lingered near – in the form of shining valleys – where the pure air recognized – and my senses newly opened”.

La gente si alza, si accalca sotto il palco e inizia a cantare con lei; risuonano nell’arena, urlate e ripetute decine di volte le sue parole, quasi una declamazione politica “We are the future, The future is now” che diventano “She is the future” dopo aver fatto salire una bambina sul palco con la quale danza con tono materno; nel frattempo sventola e si avvolge nella bandiera della pace come spesso ho visto fare nei concerti, soprattutto da quando, ormai molti anni fa, prese una decisa ed esplicita posizione contro la politica di guerra dei governi Bush.

L’attacco della successiva canzone è riconosciuto immediatamente da tutti: forse la sua canzone più famosa Because the Night (da “Easter” del 1978) scritta assieme all’amico Bruce Springsteen. Chiude la serata Rock ‘n’ Roll Nigger, ancora con tono punk-rock: Patti imbraccia una chitarra elettrica che suona e immola strappandoci le corde forse in un messaggio di rottura con la cultura (o la controcultura) imperante.

Il concerto è finito, ma non la serata che ci riserva una piacevole sorpresa. Seduti a un bar-ristorante del centro di Cremona, scambiandoci le impressioni del concerto tra amici davanti a un paio di bottiglie di vino, ci accorgiamo che proprio dal medesimo locale è uscita lei, con il pretesto di prendere una boccata d’aria, ma in realtà per continuare il contatto con il suo pubblico.

È disponibile, amichevole, scambia due parole con tutti: il tempo di farsi firmare il biglietto del concerto, una foto e qualche complimento per il concerto e la promessa di scrivere questo pezzo: ringrazia e sorride con una faccia un po’ stralunata, forse provata dalla fatica delle due serate italiane, quella di Firenze dov’è ritornata qualche giorno fa dopo il mitico concerto del 1979 e quella odierna con la promessa di voler ritornare a Cremona.
La serata, ora, è veramente finita e nel migliore dei modi.

(Davide Palummo)