Sono passati vent’anni dall’uscita del primo disco di Vinicio Capossela (“All’una e trentacinque circa”). Il cantautore, 45 anni compiuti, ha festeggiato questo anniversario a Forlì con due date (la seconda, ieri sera, aggiunta in extremis per il tutto esaurito) al Naima. Proprio in questo storico locale anni Cinquanta fu registrato ”Live in Volvo” in un’epica notte di ottobre del ’97 (alle 4 di mattina, una strana processione tra la nebbia guidata dal cantante con colbacco, davanti alla sorella e alla Kocani Orkestra finì fuori strada. E solo con questo racconto si potrebbe scrivere un libro…).
Una band d’eccezione accompagna il ritorno sulla scena di Vic Damone, “astro temporaneo della musica d’intrattenimento che si illumina solo nel mese di Dicembre, il mese del festeggiamento, per l’appunto”, un omaggio all’omonimo crooner italo americano e al clima delle feste degli italiani all’estero, quei veglioni che sono feste popolari, sagre paesane e banchetti di matrimonio al tempo stesso.
Ci sono gli storici ed eccellenti compagni di strada, Jimmy Villotti e Giancarlo Bianchetti alle chitarre, Pierro Odorici al sassofono, Enrico Lazzarini al contrabbasso, Mirco Mariani alla batteria, Pepe Medri al bandoneon e alla sega, Mauro Ottolini al trombone. Inizia così il Vic Damone 20 years X-Mas tour.
Capossela entra in un tripudio di applausi, giacca nera, si siede al piano e inizia con Stanco e Perduto, prima delle oltre venti canzoni di cui dirò ai miei vicini “Questa è la mia preferita”. Inizia come un figlio che torna a casa perché la sua famiglia ha bisogno di lui.
Vinicio scodella in due tempi una sfilza di canzoni meravigliose, Ultimo amore, Solo per me, Al veglione, All’una e trentacinque circa, Con una rosa, Crystal, Estate, Corvo Torvo, Che cos’è l’amor, Scivola vai via, sono alcune delle ballate, delle tarantelle e delle cantatine che Capossela regala generosamente al pubblico.
Come un pugile suonato, ma vincitore, si alza, si prende gli applausi, timido e apparentemente impacciato. Alterna pezzi al piano a pezzi in cui in piedi, davanti alla band, canta rapito dondolando come uno sciamano con l’asta del microfono, che diventa un dolcissimo metronomo.
È un Capossela che non si tira indietro, tiene testa al pubblico che, lui sa, vuole che Vinicio racconti. È un grande raccontatore Capossela, che lo faccia con una canzone o con una prosa, Vinicio racconta. Racconta le batoste degli inizi, quando avendo sentito un concerto piano e contrabbasso chiede a un giovane contrabbassista di accompagnarlo e il contrabbassista dice: "Si, ma il piano non lo suoni tu".
Quando poche settimane prima Capossela aveva avuto un ingaggio per fare pianobar, da solo, voce e piano, e dopo 15 giorni la titolare del locale che lo aveva ingaggiato, gli dice: "Guarda anche se suoni solo va bene lo stesso…". E lui che cerca di dire qualcosa, timide obiezioni spinte dal desiderio grande di raccontare: "Ma anche Tom Waits e Paolo Conte cantano e suonano il piano!"… "Sì, ma loro il piano lo sanno suonare…".
Per fortuna è testardo e per fortuna, proprio nei locali romagnoli dove si forma, incontra anche musicisti come Jimmy Villotti che lo incoraggiano, gli dicono che ha qualcosa da dire e riuscirà. E ne ha di cose da dire, da raccontare Vinicio. Stanco forse (non ubriaco, questa sì che è una leggenda da sfatare…), sperduto a volte sul palco ed emozionato, come un vero cantautore che si lascia trasportare dalla musica e dalla poesia e dimentica le parole un paio di volte.
Ne ha da dire di cose. Le sue canzoni piene di riferimenti al suo mondo, al mondo di chi si è fatto una gavetta mostruosa, di chi macinando chilometri su chilometri dava come indirizzo la propria targa, autodefinitosi "pianista autistico" perché ormai tutt’uno con la sua quattroruote, al mondo di chi veniva usato come “svuotapista” e invece ha saputo colpire al cuore la gente con canzoni sussurrate e con canzoni gridate, con storie di persone, come i grandi cui lui guarda John Fante, Tom Waits, Celine e tutti gli altri.
E con un racconto scritto di suo pugno omaggia il grande maestro e manager Renzo Fantini, mancato quest’anno il giorno della festa del papà.
Sembra sperduto a volte sul palco, altre si lascia trasportare dall’onda degli applausi e ne chiede di più, si lascia andare, lui che dà tanto chiede tanto, si lascia andare e gioca con il pubblico.
Capace di buttare sul ridere il rumore di una bottiglia di birra vuota che rotola sul pavimento in sala disturbando, e mentre racconta che hanno perso più tempo a togliere il rumore delle bottiglie dal disco "Live in Volvo"…
Fa un certo effetto cantare questa canzone mentre fuori cade la neve, perché ogni canzone ha la sua stagione, soprattutto se si chiama Estate, ma l’inciso la giustifica (Tornerà un altro inverno/ cadranno mille petali di rose/ la neve coprirà tutte le cose/ e forse un pò di pace tornerà…).
Fa salire sul palco il folle mago Christopher Wonder, "così mi risparmio anche di cantare la canzone, in quanto egli stesso è la sua canzone". (Un matto che sul petto ha tatuato Ta Da e sulle natiche da una parte The e dall’altra End).
Tutti in piedi a ballare per la presentazione della band con Uè Cumpari che rievoca tutta l’aria di festa in famiglia, dei veglioni in cui siamo tutti cugini, zii, nonni, parenti insomma.
"Non è male avere una hit a 24 anni…" si lascia sfuggire prima di suonare proprio All’una e trentacinque circa. Canzone che risuonerà come ennesimo bis quando all’una e trentatré si risiede al piano e dice: beh, vista l’ora…
Un concerto unico e irripetibile, come tutti i concerti di Capossela, che si conclude ufficialmente con un primo bis che vuole essere “un abbraccio per tutti voi”, le note di Ovunque proteggi, prima nude sul pianoforte poi arricchite magnificamente nelle ultime strofe dai musicisti discreti.
“Che la Grazia sia con tutti voi. Grazie a tutti!”. Ma non finisce, non può finire perché il suo pubblico sa che il timido Vinicio non riesce a tirarsi indietro ed è sempre generoso. Concede altri tre o quattro bis, non li conto nemmeno, è già un altro concerto.
Che la Grazia sia con te Vinicio. Grazie.
P.s. Vent’anni fa, quando era appena uscito "All’una e trentacinque circa", a Forlì in un pomeriggio piovoso di sabato una macchina affianca mio padre in bicicletta e gli chiede indicazioni per la Vecchia Stazione (altro locale forlivese). Mio padre, attento ascoltatore, grande amante di Tom Waits e di Paolo Conte, riconosce il giovane (24 anni) Capossela ancora quasi sconosciuto e si fa seguire in bici accompagnandolo al locale.
Non solo, siccome il service non era il massimo e mancava qualcosa (una spia o un amplificatore) mio padre torna a casa e gli presta quello che mancava. Io ricordo quell’incontro perché in casa avevamo il disco e mio padre tornando a casa ci raccontò dell’incontro. Io quattordicenne per curiosità ascoltai il disco, e da allora amo questo grande e folle poeta.
Vinicio, che è di una dolcezza e attenzione incredibile verso gli altri, se lo ricorda ancora con affetto per l’aiuto gratuito e inaspettato, e da qualche parte in casa ha ancora il disco che Chieffo padre gli regalò.