In Italia erano venuti a suonare pochissimo: una volta a Milano per pochi invitati, giornalisti soprattutto, nel 1994 in occasione dell’uscita del loro primo album per una major, Under the Table and Dreaming. Alcuni anni dopo al Festival dell’Unità di Correggio, poi più niente.

Troppo complicata e diversa la loro musica, per noi mediterranei: in America la Dave Matthews Band era invece la regina delle cosiddette jam band, quei gruppi musicali che, rifacendosi più o meno all’esperienza di gruppi storici come i Grateful Dead, facevano dell’improvvisazione pura il senso delle loro esibizioni. Show di oltre tre ore dove le canzoni sono solo un canovaccio per partire poi per jam session ardite, a base di funk, rock, folk e jazz.



Dopo un concerto di grande successo la scorsa estate a Lucca, adesso qualcosa si è sbloccato anche qui da noi e la DMB è tornata per ben tre esibizioni, tra cui quella tenuta lunedì 22 in un gremito Palasharp a Milano: band composta da un batterista a dir poco energico, Carter Beauford, vera spina dorsale della band con una batteria esagerata per numero di tamburi (spesso usava il doppio pedale).



 

Il bassista, look anni 80 (sarà un caso? A volte gli arrangiamenti di DMB suonano fine anni 80… un po’ datati, insomma), molto bravo ma con un suono impastato forse per il noto effetto Palasharp, ovvero pessima acustica. Il chitarrista è notevole ma costretto, soprattutto nella prima parte del concerto, a riff che lo limitano parecchio. Nella prima parte dello show appare un po’ sottotono anche il violinista Boyd Tinsley.

 

Sul palco anche una sezione fiati in stile molto New Orleans. Sono guidati dal carismatico leader Dave Matthews, voce che ricorda quella di Sting, autore principe di tutte le composizioni del gruppo, che si limita a una chitarra ritmica molto sincopata e ritmica.



 

(Francesco D’Acri)