Poche sere fa avevo davanti una leggenda, uno dei rari chitarristi classici ad aver lasciato un segno nella musica contemporanea, Manuel Barrueco.
Cubano, cinquantotto anni, Barrueco è, al pari del suo conterraneo Juan Brouwer e del britannico Julian Bream un mostro sacro della sei corde. Docente di riferimento per tutta la musica americana, Manuel è anche aperto a contaminazioni diversissime (ha inciso sia un tributo a Lennon-McCartney che un originalissimo album, “Nylon and steel”, con alcuni notevoli chitarristi d’ambito rock e jazz: Steve Morse, Andy Summer e Al di Meola).
L’altra sera Barrueco, all’interno di un breve tour italiano, si è esibito in un concerto di vera emozione al Teatro Comunale di Vicenza, struttura imponente e di piacevole eleganza che sta confermando, in soli due anni di vita, una direzione artistica non scontata. Con il chitarrista sul palco c’era il Cuarteto Latino Americano, vale a dire i violini di Saul e Aròn Britàn, la viola di Javier Montiel e il violoncello di Alvaro Britàn. Le radici latino-americane di Barrueco e del Cuarteto sono state la vera linfa di questa serata, perché tutto è ruotato attorno ai compositori di quell’ambiente culturale, da Ernesto Lecuona a Carlos Guastavino per terminare con Astor Piazzolla.
Apertura di programma affidata a un brano del più importante compositore argentino, Guastavino, Jeromita Linares, sulle cui note di caldissima nostalgia liberty già si è assaggiata la grande intesa tra i cinque interpreti. Dedicata al controverso tentativo di sbarco a Cuba nel 1961, Bay of Pigs (Baia dei Porci) è invece un brano scritto dall’americano Michael Daugherty proprio per Barrueco (che è fuggito da Cuba con i genitori rifugiati politici): tre movimenti di grande complessità, tra chiaroscuri e asperità contemporanee, tratteggio fotografico in musica di un momento di storia, tra armi e morti, Kennedy e Fidel Castro.
Di fianco al chitarrista, il Cuarteto si presenta con tutte le sue immense qualità: tecnica e padronanza strumentale assoluta, affiatamento totale per questi musicisti messicani che da anni sono considerati, giustamente, il migliore ensemble americano. Solo in due momenti Barrueco e i suoi comprimari si abbandonano a vicenda e nella Comparsa, una cancion del grande Lecuona, il chitarrista da solo in scena, da fondo alla sensibilità assoluta della sua interpretazione, alternando pieni e pause, accarezzando l’andamento armonico con personalità così alta da lasciare in secondo piano la stessa purezza dell’interpretazione.
Sul finale del concerto, una scoperta assoluta è stata l’esecuzione di Boliviana, tre movimenti di grande ecletticità firmati dal compositore uruguaiano Miguel del Aguila: il primo un gioco di ritmi e suggerimenti etnici, con il pizzicato del violoncello capace di tratteggiare atmosfere e paesaggi andini, il secondo ricco di ingredienti fin de siecle, il terzo velocissimo, con pezzi di bravura strappapplausi di chitarra e violino.
Finale di concerto con immersione nelle partiture di Astor Piazzola, che conferma ad ogni ascolto la sua statura di narratore sensibile e profondo, con le Tango sensations arrangiate dallo stesso Barrueco e due milonga, prima di un bis con il Libertango, ormai celebre grazie a pubblicità varie e film.
In una serata atipica, per la chitarra classica – senza Bach, Villa-Lobos o Giuliani nel programma – Barrueco conferma le mille sfumature possibili dello strumento. Il virtuosismo non è stato assolutamente il dato emozionante della serata: tra morbidezze e velluti, impetuosità, inserimenti percussivi e dialoghi con gli altri strumenti, il musicista cubano ha mostrato un mondo di seduzioni e memorie. Insieme al Cuarteto, Manuel Barrueco ha celebrato l’orgoglio di una produzione musicale, quella latino-americana, che è tutta da scoprire e da frequentare con intensità, per esserne ripagati con soddisfazione.