Cappella degli Scrovegni, capolavoro che ha ispirato i compositori fin dalle origini. MARIA GRAZIA FILIPPI racconta il concerto tenuto al suo interno, tra gli affreschi di Giotto, con l’esecuzione dei brani realizzati per l’occasione da otto compositori contemporanei. ROBERTO FILIPPETTI ci guida nei segreti della musica medievale.



«Evento unico», ha ripetuto come un mantra l’assessore alla cultura del comune di Padova Andrea Colasio, introducendo il concerto “Gioivano in coro le stelle del mattino”, tenuto nella cappella degli Scrovegni davanti a selezionatissimi rappresentanti delle istituzioni. Unico per la cornice: non si ha memoria di altri concerti tra gli affreschi di Giotto.

Ma unico anche per i contenuti. Gli organizzatori, il circolo studentesco Stravinskij e la Federazione veneta delle Banche di Credito cooperativo, hanno affidato a otto compositori (tutti presenti al concerto) altrettante sequenze narrative degli affreschi, dalle storie di Gioacchino e Anna fino al Giudizio finale, eseguiti dall’Ensemble Webern (Chiara De Monte flauto e ottavino, Claudio Miotto clarinetto e clarinetto basso, Elisa Saglia violino, Luciano Chillemi chitarra e Michele Zappaterra pianoforte e tastiere), diretto con partecipazione e misura da Luca Belloni.

Il concerto, come ha messo in luce Giuseppe Bisetto Trevisin su IlSussidiario.net nei giorni scorsi, rappresentava di per sé un’operazione culturale coraggiosa. Rileggere un capolavoro figurativo medievale con gli stilemi della musica contemporanea è operazione ardita e non esente da rischi, da un estremo all’altro. Si poteva cioè cadere in un descrittivismo piatto o al contrario limitarsi a prendere spunto dai temi, senza lasciarsi toccare dalla potente umanità di Giotto, attraverso la quale percepiamo contemporanei gli episodi del vangelo. Invece la scommessa è stata vinta proprio a questo livello. Con linguaggi e sensibilità diverse, tutti e otto i compositori si sono messi in gioco proprio davanti a Giotto, a quel suo umile e geniale registrare il contraccolpo umano dell’incontro con Cristo. 

Carlo Galante, Il bacio, la porta e l’angelo

Linguaggi diversi, si è detto: scabro ed elegante quello de Il baciola porta e l’angelo, composizione di Carlo Galante, che alla fine si risolve in melodia. L’amata di Biancamaria Furgeri riporta nell’oggi le melodie gregoriane della vita di Maria, in un racconto musicale chiaro ed eloquente, fin didascalico. «Gioco di sguardi tra annunciante ed annunciata» è invece definita da Belloni L’Annunciazione di Pippo Molino, in cui si coglie la sospensione, delicatamente tratteggiata dalle sincopi della tastiera, del “sì” per cui, come scrisse Péguy, tutto il mondo trattenne il respiro.

Pippo Molino, L’annunciazione

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Umberto Bombardelli, Rex ad Reges

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Registro ancora diverso con Rex ad Reges di Umberto Bombardelli, sulla Natività e l’Adorazione dei magi, che esordisce con una ninna nanna per sottolineare poi la partecipazione di tutta la natura alla nascita di Cristo. Si passa a La risurrezione di Lazzaro di Roberto Tagliamacco, in cui il lamento iniziale cede il passo a un continuo, festoso scampanìo, per poi concludere con l’atmosfera iniziale, che ci riporta all’incredulità dei farisei.

Maurizio Biondi, Tre studi per la Passione

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Di rara intensità drammatica i Tre studi per la Passione di Maurizio Biondi, forse l’esito migliore della serata, che traduce in note il tintinnare delle monete di Giuda, il lento trascorrere del tempo sul Calvario e il dolore di compianto sul Cristo morto, straziante Stabat mater senza parole.

Riccardo Riccardi, Blu Giotto
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Convincente anche Blu Giotto di Riccardo Riccardi (compositore ma anche pittore), brano che illustra musicalmente la Risurrezione, l’Ascensione e la Pentecoste e in cui la redenzione è letta come dolce risveglio del cosmo. Tavolozza espressionista infine per Il giudizio e la gloria di Belloni.

Luca Belloni, Il giudizio e la gloria

L’Ensemble diventa orchestra, si viene investiti dalla maestà del giudizio, travolti dai fiumi di fuoco dell’inferno, coinvolti nella gloria dei beati, da Belloni interpretata come danza paesana alla Bruegel.

Applausi molto calorosi per un evento che, riproposto anche giovedì 25 marzo a Santa Caterina d’Alessandria varrebbe la pena di esportare e non solo come marketing del monumento più celebre di Padova. 

(Maria Grazia Filippi)  

  

La Cappella degli Scrovegni, di Roberto Filippetti

In principio, nella Cappella degli Scrovegni, fu pittura e musica. La dedicazione a “Santa Maria della Carità”, ad affreschi appena ultimati da Giotto, è avvenuta il 25 marzo 1305, festa dell’Annunciazione, nonché capodanno, secondo il calendario in “stile fiorentino” allora vigente.

Di quel memorabile giorno abbiamo notizie abbastanza circostanziate. Mentre le campane suonavano a distesa, nella cappella del Palazzo della Ragione vi fu la cerimonia rituale con la vestizione e il trucco dei pueri che impersonavano Maria e l’angelo. Quindi si formò il corteo, aperto dal clero, poi le autorità, i nobili, i cantori del coro della Cattedrale e il popolo tutto. 

La solenne processione si diresse verso il luogo stabilito, il cortile dell’Arena di fronte alla Cappella degli Scrovegni, dove si celebrò in forma drammatizzata l’ufficio dell’Annunciazione.
A guidare il piccolo gruppo di cantori della Cattedrale fu il nuovo magister cantus, Marchetto da Padova (nei registri di pagamento del capitolo del duomo la sua presenza è documentata proprio dal giorno prima, 24 marzo), che per l’occasione aveva composto e fatto eseguire il mottetto Ave regina celorum – Mater innocencie

Il brano si divide in due parti che presentano due acrostici: l’ordito del triplum, se leggiamo in verticale le parole che aprono ciascun distico, è dato dalla prima parte dell’Ave Maria; le iniziali dei versi nel duplum celano il nome del compositore Marcum Paduanum. 

Marcum Paduanum, ovvero Marchetto da Padova è nella Storia della musica il corrispettivo di Giotto in pittura: il punto di passaggio da Ars antiqua ad Ars nova. Giotto e Marchetto, ovvero la bellezza della pittura e della musica, procedevano sinergicamente in funzione della Bellezza che si è fatta carne, e che splende radiosa nella santa liturgia. 

25 marzo: Annunciazione, Incarnazione. Dunque capodanno: il giorno in cui L’Eterno è entrato nel tempo l’uomo medievale comincia a contare il tempo lietamente vissuto perché tutto illuminato dalla prospettiva ultima del Destino eterno. È da lì, dal gran sole d’oro splendente alle spalle del Cristo giudice, che sono illuminati tutti gli edifici “finti” da Giotto a tre dimensioni. Ed è lì, in quell’aureola di Cristo in cui sono incastonati tre specchi, che andava a riflettersi la luce all’alba del 25 marzo, quasi a dirci che è quello il punto focale: l’ottavo giorno che non conosce tramonto, il destino eterno per il quale ciascun uomo è stato voluto. Ebbene, a distanza di poco più di settecento anni, pittura e musica si sono ancora incontrate in Cappella degli Scrovegni. . 

 

 

E proprio nella vigilia dell’Annunciazione, la sera del 24 marzo 2010. Il concerto, (poi replicato il 25 marzo nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria) è stato organizzato dal Circolo studentesco Stravinskij e dalla Federazione Veneta delle Banche di Credito Cooperativo, con il Comune di Padova e i Musei Civici, ed è stato intitolato, con parole tratte dal libro di Giobbe, “Gioivano in coro le stelle del mattino”. 

Ed è bastato alzare lo sguardo sulla volta azzurra dipinta da Giotto per capirne la potenza evocativa! Giusto ai piedi del Giudizio universale ha trovato posto l’orchestra: l’Ensemble Webern, diretto da Luca Belloni, con Chiara De Monte flauto, Claudio Miotto clarinetto, Elisa Saglia violino, Luciano Chillemi chitarra e Michele Zappaterra pianoforte e tastiere. Ad otto compositori è stato proposto di evocare in musica altrettante sequenze della grande storia affrescata da Giotto. 

Così è accaduto di sperimentare per oltre un’ora il primato medievale dell’orecchio e dell’udito sull’occhio e sulla visione: centralità della musica, e immagini – letteralmente – a contorno. E l’occhio correva a cercare quella scena, quel dettaglio a cui la pagina musicale rimandava. Come lo stupore del cammello che sgrana gli occhi azzurri e sta a bocca aperta davanti al Re dei re, nell’Epifania: natura mirante, come si canta nell’Alma Redemptoris mater

Natura mirante: tutta la natura – anche il mondo animale – sta lì in contemplazione! Carlo Galante ha saputo evocare il “bacio ad occhi aperti” tra Gioacchino e Anna, il giorno dell’Immacolata concezione di Maria. Struggente, poi, il brano di Biancamaria Furgeri, danzante quello di Pippo Molino, cullante quello di Umberto Bombardelli.
Roberto Tagliamacco ha suggerito la parabola che sale dal lutto per la morte di Lazzaro su verso la gioia della sua risurrezione, e che poi ridiscende verso la tristezza e il vuoto: proprio di fronte all’imponenza di questo miracolo qualcuno decide che Gesù deve andare in croce. 

Maurizio Biondi ha fatto sentire il tintinnare dei trenta denari e, sulle corde del violino, la disperazione del Golgotha, la morte di Dio: uno stabat mater! Riccardo Riccardi, con quell’inizio sospeso e sognante, ha indotto a guardare i soldati addormentati col capo appoggiato al sepolcro vuoto; poi l’esplosione, e le lingue di fuoco.

Infine, con Luca Belloni, siamo al Dies irae: il muro di suoni, raggiunta la tensione massima, s’infrange e tutto si conclude con la giubilante danza delle schiere celesti. Gioiscono in coro gli angeli, lassù tra le stelle. “Tutta musica sincera” si commenta con l’amico Pippo Molino. Sincera come quell’ottimo vino, nelle nozze di Cana dipinte da Giotto. 

(Roberto Filippetti)