Il Blue Note di Milano, unica sede europea del prestigioso locale newyorchese, mecca del jazz. Esistono altri Blue Note Club solo in Giappone, oltre appunto a quello sito al Greenwich Village. Suonarci, per un artista italiano, è un punto d’arrivo, un onore non da poco. Domenica sera Davide Van De Sfroos vi ha portato la sua miscela esplosiva di folk, rock, reggae e anche jazz in dialetto laghée. Ultima data del suo Club Tour, una serie di appuntamenti in cui l’autore di “Pica!” ha visitato alcuni piccoli locali di mezza Italia con l’intento di riportare, dopo un’Intensa stagione teatrale, la sua musica nel contesto da cui era partita ormai almeno quindici anni fa. Quella dell’intimità, dove artista e spettatore si guardano negli occhi e talvolta interagiscono.
Come successo ieri sera quando una spettatrice ha suggerito a Van De Sfroos di essere “insieme a Fabrizio (De André)”. Complimento ben accettato, anche se con un po’ di scaramanzia, ovviamente… Nell’elegante cornice del Blue Note, dunque, con i tavolini a ridosso del palco, il pubblico caldissimo che riempiva ogni angolo compresa la balconata superiore, Van De Sfroos ha divertito e si è divertito.
Questo grazie anche alla sua ottima band, che ha visto recentemente dei nuovi innesti, primo su tutti lo straordinario chitarrista Maurizio Glielmo, in prestito dalla Gnola Blues Band, uno dei più affiatati combo di blues made in Italy. Davide Van De Sfroos ha allora aperto la serata con un tributo al locale in cui si trovava, un’intensa interpretazione jazzata della sua La nocc, per poi scaldare tutti con le sue classiche e trascinanti ballate tra folk e punk, come La balera, Pulènta e galèna frègia, La ballata del Cimino.
CLICCA SUL PULSANTE QUI SOTTO PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO
Ha stupito la capacità di debordare in momenti di rock purissimo, come pochi in Italia sanno fare, scaldato dalle incandescenti note della chitarra di Glielmo, quando ha approcciato brani come L’Alain Delon de Lenn, e in generale la positiva attitudine di riadattare parte delle sue composizioni all’ispirazione della serata, come Il costruttore di motoscafi che da lenta ballata è diventata un’irresistibile cavalcata in chiave quasi “cyber folk”, come direbbe lui. Oppure il reggae in odore di psichedelica di Hoka Hey. Largo spazio, come sempre, alla sua consumata capacità di intrattenitore, con i suoi racconti divertenti e surreali di umanità sparsa tra il Lago di Como e l’America.
Ad esempio nell’incredibile rilettura di un classico di Tom Waits, Frank’s Wild Years, che diventa un istrionesco momento di grande cabaret in dialetto lombardo. Così come anche l’irresistibile introduzione a La poma, rilettura della storia di Adamo ed Eva. Sempre belli infine i momenti di liricità contenuti in canzoni dall’alto tasso melodico e poetico, la toccante New Orleans su tutte. Una serata di grande musica, di grande intrattenimento e di grande simpatia. Ma soprattutto di grande umanità. Come sempre, quando sul palco c’è il cantastorie del lago, Davide Van De Sfroos.