Sono le 21 a San Siro. Sul palco, dopo lunga attesa, salgono dei finti manifestanti. Hanno bandiere e striscioni, uno dei quali recita “They will not control us”, loro non ci controlleranno.
Quindi la batteria di Dominic Howard picchia forte e partono le note di Uprising. È l’inizio del concerto dei Muse, unica tappa in Italia per la band inglese in uno stadio stracolmo di spettatori.
Il brano questa sera con il contorno dei finti manifestanti vuole significare la protesta contro la crisi economica e finanziaria, soprattutto una protesta contro i grandi gruppi bancari. Il pubblico presente esplode. Molti sono qua dentro sin da metà pomeriggio. Alle sei erano saliti sul palco i Calibro 35, gruppo rock italiano che ha l’onore di calcare per la prima volta un palcoscenico così prestigioso come quello del Meazza. La band esegue solo pezzi strumentali, rivisitazione in chiave rock progressive delle colonne sonore dei film polizieschi italiani degli anni Settanta.
Dopo di loro i Kasabian, band emergente inglese della nuova scena brit pop. Alle 21 finalmente loro, i Muse. Sono vestiti d’argento il palco è portentoso, un prodigio di design ultra moderno. Luci e immagini per tutto il tempo. Il secondo brano in scaletta è Supermassive Black Hole. Il potente riff di chitarra non riesce a tener fermo nessuno, a partire dalle prime file fino in fondo al prato.
Dopo essersi scaricati un po’, il cantante Matthew Bellamy passa al piano e canta Unintended, unica canzone lenta assieme a Exogenesis p. 1, per la quale un’acrobata viene fatta fluttuare in aria dopo essere uscita da un disco volante piazzato in mezzo allo stadio. Proprio gli effetti speciali sono la particolarità di questo concerto. In Unisclosed Desires e in Nishe (pezzo eseguito solo da basso e batteria), la piattaforma accanto al palco si solleva e porta in giro per San Siro i musicisti, attorniati da luci e da fumi.
Alla fine degli enormi palloni pieni di coriandoli vengono fatti rimbalzare su tutto il pubblico. I fan sono in delirio. Non c’è una persona che non si stia divertendo, basta guardarsi in giro. I musicisti sul palco dimostrano un grande attaccamento fra di loro: il cartellone “Happy b-day” è il regalo scelto per Matt. Un regalo collettivo, mentre il pubblico era in coda per entrare, la security ha distribuito a tutti dei palloncini, con la speranza che San Siro intonasse un indimenticabile “Tanti auguri”. Ammirevole tentativo, anche se far cantare tutto San Siro all’unisono è una pretesa un po’ troppo grande.
Il pubblico comunque ha dimostrato, anche con la hola, grande affetto. I Muse non sono di tante parole, a parte dei ringraziamenti e qualche incitazione: preferiscono trasmettere emozioni con la musica. Il risultato è praticamente perfetto. Matt è davvero spettacolare, sembra essere stato creato apposta per fare il performer. La sua voce difficilmente sbaglia qualche passaggio, il falsetto è impeccabile e penetra nell’anima. Contrapposto alla sua voce, c’è il suono rozzo e metallico della sua chitarra.
Riff energici e schitarrate ricche di effetti stanno infatti alla base dello stile dei Muse. Le canzoni si susseguono, una più emozionante dell’altra: New Born, con il riff sporco e metallico tipico delle chitarre di Matt che parte di colpo dopo l’intro lento di piano, Hysteria, Guiding Light, Plug in Baby e tutti in aria a saltare per Time is Running Out. Quest’ultima è stata introdotta da una breve parte di House of The Rising Sun, brano tradizionale americano reso celebre in versione rock nei primi anni Sessanta dal gruppo di Eric Burdon, gli Animals. Un tributo probabilmente alla grande storia del rock inglese senza di cui non ci sarebbero oggi band come i Muse.
C’è poi stata anche un’autentica sorpresa: nel mezzo del concerto, entra un personaggio nuovo. È Nic Cester, il cantante dei Jet, la rock band australiana, che sale sul palco per cantare assieme ai Muse Back in Black degli AC/DC. Rock inglese e australiano uniti a San Siro. Il concerto si conclude con Knights of Cydonia, cantato da un Matt Bellamy veramente “spaziale”, ricoperto di luci fosforescenti.
P.S. Non hanno fatto bis, perché tutto quello che potevano dare l’hanno dato in maniera esaltante durante il concerto.
(Silvia Vites)