Attimi e secoli, lacrime e brividi. Olimpico esploso. Si potrebbe riassumere così la splendida serata d’estate che Luciano Ligabue ha regalato a Roma e ai romani segnando l’inizio del tour 2010. Partenza con i fuochi d’artificio, dunque, quando l’artista di Correggio, alle 21.15 in punto, si è concesso agli oltre 60.000 fan che già dalle prime ore del pomeriggio avevano cominciato a riempire lo stadio, sfidando l’afa capitolina. Attesa ripagata per la prima data sold out, in un crescendo di emozioni e uno spettacolo davvero irripetibile quanto a impatto emotivo, senza tregua, in un trionfo di sonorità e arrangiamenti riusciti mentre dietro al palco scorrono immagini montate alla perfezione. L’Olimpico è in fermento, un insieme di luci e colori, di flash che illuminano la notte quasi ad abbracciare il “poeta” che regala versi da pelle d’oca, non semplici canzoni.



Oltre due ore di spettacolo per un “sogno di rock and roll” che Luciano, cinquant’anni compiuti a marzo, interpreta a modo suo accompagnato da una band che interagisce con lui in un’osmosi perfetta. Federico Poggipollini (chitarra), Niccolò Bossini (chitarra), José Fiorilli (tastiere), Luciano Luisi (tastiere e programmazioni), Michael Urbano (batteria), Kaveh Rastegar (basso) lo accompagnano senza sbavature dando l’anima, tra sudore e suggestione. Ligabue aggredisce la scena da assoluto protagonista lasciano spazio tuttavia ai suoi compagni di viaggio che non sono da meno distribuendo assoli di chitarra e percussioni ficcanti per il pubblico che si lascia portare per mano.
 



“Arrivederci, Mostro!” (al vertice delle classifiche dei dischi con oltre 120 mila copie vendute) è l’album attorno al quale ruota l’intera serata e che rappresenta probabilmente l’apice di una carriera ultraventennale, intrisa di impegno sociale e che segna la definitiva maturità di chi non si è mai tirato indietro. Di chi, sempre presente a se stesso, non l’ha mai mandata a dire cercando sempre di “tenere botta”. “C’è una linea sottile tra star fermi e subire, cosa pensi di fare, da che parte vuoi stare?” (La linea sottile) facendo capire da subito il leit motiv della serata, rincarando la dose dell’impegno politico con un tuffo nel passato quando ricorda di esserci stato nel ’77, “quando c’erano Berlinguer e Moro lì, Falcone e Borsellino” (Nel Tempo).
 



Già, il tempo, che sembra essersi fermato quando ti guardi attorno e ti accorgi che ragazzi, in quegli anni nemmeno nati, cantano a squarciagola. No, quello che ti scorre sulla schiena non è sudore ma un brivido quando Luciano inneggia alla vita (Atto di fede) quando “in sala parto si vede la potenza delle cose”, invitando a viverla, a vedere ciò che si deve, senza riserve perché vivere è, appunto, fede. Balliamo sul mondo e Bambolina e barracuda, i suoi cavalli di battaglia che criportano solo per un attimo agli inizi, evocando sonorità e storie fugaci mai dimenticate e che, con gli anni, acquistano un nuovo senso, una nuova e rinnovata forza come un’araba fenice. Stupisce Ligabue quando accenna Libera nos a malo, un pezzo di vent’anni fa, lucida premonizione di ciò che sarebbe stato, toccando le corde del cuore e scuotendo le coscienze con temi ancora oggi attuali quanto discussi.
 

Non dimentica nulla mentre scorrono immagini forti alle sue spalle. Un messaggio per tutte le generazioni, cariche di quella forza che, da sola, dovrebbe bastare a tendere la mano a ogni positiva diversità. Ringrazia il pubblico Luciano quando imbraccia la chitarra, cammina con passo lento sulla passerella che lo porta fin dentro al prato quando accenna di “aver perso le parole”, evidente riferimento all’accoglienza che, forse, nemmeno lui si aspettava. “Credici un po’ metti insieme un cuore prova a sentire e dopo credimi” e l’emozione gliela si legge negli occhi quando per un istante sembrano perdersi nel vuoto e velarsi di tristezza. Le dita vanno da sole sulle corde della chitarra spinte solo da un animo profondo. E’ un professionista ma, prima di tutto, un uomo.

Piccola stella senza cielo e Marlon Brando è sempre lui segnano il giro di boa dello spettacolo rievocando atmosfere padane cariche di quella schiettezza di cui solo chi è cresciuto “a lambrusco e pop corn” è capace. Molti aspettano di sentire i pezzi che lo hanno reso famoso; alcuni arrivano, altri no, com’è giusto che sia. La delusione è forte ma non c’è nemmeno il tempo di riflettere che si riparte con Certe notti, quelle notti “un po’ mamme e un po’ porche” che tutti noi abbiamo vissuto, sentendoci almeno per una volta nella vita “più allegri, più ingordi, più ingenui e coglioni”. Ci avviamo alla fine, sembra stanco, provato da questa prima, meravigliosa notte quando accenna quello che è ormai è diventato un pezzo cult del suo repertorio Buonanotte all’Italia, omaggio a questo Paese che ha tanto da dire, altrettanto da dare, con la sua gente, le intelligenze di cui è capace.

Si congeda con un messaggio di speranza quando intona Il meglio deve ancora venire tra il tripudio della gente che ha bisogno di una speranza, di un segno per continuare a crederci e considerare la vita una cosa meravigliosa, degna di essere vissuta quando accoglie la band con un applauso che sembra essere interminabile. E’ il giusto tributo,un grazie infinito per aver regalato un’emozione. Cala il sipario, la band saluta tra la gente dando sfogo a tutta l’ansia del debutto. Quei visi tesi ma felici riassumono alla perfezione più di mille parole ciò che è stato e continuerà ad essere in giro per l’Italia.

(Nuccio Franco)