Ci fa piacere notare che la Milano estiva un po’ addormentata degli ultimi anni si sta risvegliando, anche grazie alle cure e alla passione musicale dell’assessore agli Eventi Giovanni Terzi. La riprova è data dal Milano Jazzin’ Festival che sta crescendo e interessando sempre più pubblico, visti i tutti esauriti che si stanno susseguendo.
Nonostante il titolo, il festival si sta aprendo un po’ a tutti i generi musicali, coinvolgendo differenti segmenti di pubblico che trovano finalmente in estate a Milano qualità e divertimento per i più diversi palati. Ben indovinate le scelte della direzione artistica di Nick di Radio Montecarlo, che ha potuto comunque pescare tra le molte offerte dei tour in circolazione.
Se era imperdibile Mark Knoplfer, che ci ha regalato una performance affascinante nel suo curatissimo minimalismo, altrettanto imperdibile era il concerto di Crosby, Stills & Nash: un amarcord al cubo per i moltissimi coetanei presenti tra il pubblico. Ma c’erano anche molti giovani, a testimonianza che i brani del trio (ma come non ricordare Young?) costituiscono imprescindibili pietre miliari della storia della musica contemporanea, anche perchè direttamente discendenti dall’alveo creativo dei Beatles, giustamente e volutamente citati all’Arena con l’esecuzione di Norvegian Wood.
E infatti le cronache ci dicono che i quattro sono gli unici musicisti a essere stati nominati per più di due volte ciascuno nella Rock and Roll Hall of Fame.
Per chi ha vissuto praticamente in diretta la famosa performance di Woodstock che li ha lanciati, l’emozione è stata notevole: a parte qualche lieve stonatura, le armonie delle voci e gli infuocati assoli non sembravano tradire il peso degli anni (sono tutti tra i 65 e i 70), i tantissimi bagordi a base di droghe varie, le vicissitudini sanitarie a base di trapianti di fegato e operazioni alla prostata.
Certo, era meglio chiudere gli occhi: perchè sembrava impossibile che Stills, con quell’aria da pensionato a passeggio nel parco (anche in virtù degli occhiali vintage e dell’incerto incedere – gli mancava solo un barboncino…) fosse ancora in grado di incantarci con le sue inebrianti scale e le graffianti distorsioni bluesy (altro che i cerebrali virtuosismi di Steve Vai!).
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Anche nel concerto milanese Stills è apparso il vero “backbone” della band: non molti sanno che il loro primo disco fu costruito con diverse sovraincisioni eseguite sempre da lui: fu quando si accorsero che dal vivo non si poteva fare lo stesso che aggiunsero al gruppo quel genio di Neil Young.
L’affiatamento commovente soprattutto negli intermezzi acustici riesce a far ogni volta dimenticare che la storia della band è costellata da continui litigi – per motivi artistici – da separazioni e ricongiungimenti. Evidentemente la musica è così potente da far dimenticare tutto: dopo poche note di Teach your children, i miei coetanei erano già in sollucchero, e anche davvero grati di aver potuto assistere dal vivo al ripetersi di una magia oramai senza tempo.
Come Knopfler, anche i nostri tre sono appassionati collezionisti di chitarre, ma forse per la complessità del tour mondiale che stanno facendo, non ne hanno portate così tante come quelle che abbiamo visto in certi loro dvd anni Ottanta.
Ovvio tripudio di Fender Stratocaster e Telecaster, una bella Tom Anderson splendidamente fiammata tra le mani di David, una piccola acustica “triplo zero” Gibson e ovviamente alcune Martin. In più pezzi Stills ha imbracciato la bianca Gretsch White Falcon e addirittura una pregiata e antica Gibson Super 400 con spalla mancante.
Minimale la strumentazione complessiva della band (tastiera, basso, batteria suonati da Todd Caldwell, Robert Glaub e Joe Vitale) arricchita dall’immancabile organo Hammond. Va detto che – come fa abitualmente anche Young – le chitarre di Stills erano collegate a un’intera batteria di amplificatori Fender Vintage, dal Bassman al Vibrolux, gli unici capaci di riprodurre quei giusti suoni valvolari distorti (in gergo “crunch”) che oramai contraddistinguono il timbro sonoro di un’epoca musicale.