Non c’era la folla venuta per Mark Knopfler o per Crosby, Stills & Nash e che stipava anche le gradinate dell’Arena in ogni ordine di posto, ma alle 21.30 il parterre era comunque gremito da un pubblico dal palato fino, certamente consapevole della qualità dell’evento cui stava per assistere.
Dulce Pontes, la regina del fado portoghese (e non solo) si è affacciata sullo sfondo nero del grande palco del Milano Jazzin’ Festival con un fastoso abito bianco. Si è seduta al piano e come in sottotono ha cominciato a cantare accompagnandosi solo con pochi accordi: con la voce molto trattenuta, sembrava voler dar vita a una performance ben più adatta a un piccolo club che a una grande arena.
Ma l’accenno di sorpresa delusione del pubblico è stato immediatamente e fortunatamente represso dal vigoroso ritmo impresso dai musicisti entrati in scena per accompagnare Dulce in una ritmatissima danza popolare. Va detto subito che il gruppo ha costituito una pregiatissima cornice ai diversi quadri che Dulce Pontes ci ha voluto presentare, sia con le innumerevoli sfumature della sua voce che con la presenza teatrale ora drammatica, ora epica, ora evocativa, ora addirittura farsesca.
Non si può dire che sia bella, con quel volto che spesso si atteggia pure a smorfie da cartone animato: quello che ha colpito gli astanti è la sua capacità di trasfigurarsi di fronte al pubblico a seconda del brano interpretato.
Il concerto ha inteso presentare il suo ultimo lavoro discografico, intitolato “Momentos”, dedicato alle hits degli ultimi vent’anni.
Eccellente sia la scelta dei musicisti che degli strumenti, tutti acustici splendidamente amplificati: fisarmonica, chitarra acustica, chitarra portoghese, violoncello, chitarra basso acustica, oboe, percussioni. Che dire del principale strumento, poi, vale a dire della voce di Dulce Pontes?
Uno strumento che lei maneggia con impareggiabile padronanza, si potrebbe dire con una grinta tipica del fado e al contempo con tutte le venature malinconiche altrettanto tipiche della tradizione popolare ispanica e portoghese. Impetuosa, veemente, dolcissima, a un certo punto – grande brivido in platea – la sua voce si è inerpicata, dopo una introduzione dell’oboe, sulla partitura del Concierto de Aranjuez, probabilmente l’opera più nota di Joaquim Rodrigo: semplicemente un capolavoro dal punto di vista musicale, canoro e teatrale a un tempo.
Questo brano da solo poteva valere tutto il concerto! E che dire di una rallentatissima e drammatica interpretazione di Volver? Da un hit all’altra, i fortunati presenti hanno potuto ripercorrere in meno di due ore tutta la carriera di un’artista inconsueta, capace di scavare nella tradizione innovando nell’interpretazione e negli arrangiamenti.
A un certo punto si è tolta le scarpe, si è cinta le caviglie con due sonagliere e si è messa a interpretare cantando e danzando una antica melodia a metà tra il fado e la tarantella, con una foga che potremmo definire tribale. Molte le chiamate alla fine del concerto, e molti i bis generosamenete concessi.
Da ultimo, come aveva iniziato, si è riseduta sola al piano per concludere con un’intensa e commovente interpretazione di una delle più commoventi melodie di C’era una volta il west. di Ennio Morricone.
Un concerto di livello altissimo, una performance senza risparmio di energia e di classe. Una serata indimenticabile.