Con la fine di luglio terminano  le principali kermesse musicali.  È giunto il momento dei bilanci e della rilettura critica di quanto ascoltato. Indubbiamente la crisi finanziaria, il latitare degli sponsor  ha, di fatto, ridimensionato alcuni cartelloni. Le produzioni (strumentazione, scenografie, impianti) presentate da nomi anche noti, non sono state all’altezza della loro fama.



Sempre di grande valore il cartellone di Umbria Jazz con numerose e interessanti proposte che hanno saputo, come sempre, miscelare musicisti di largo seguito a proposte più ricercate. Di estremo piacere il concerto  che ha visto protagonisti Herbie Hancock  con il suo “The Imagine Project”, oltre al gruppo dell’intramontabile Tony Bennett, che ha trionfato a dispetto degli ottantaquattro anni di età.



È stata una serata di autentico godimento: Hancock si è presentato con una band nella quale spiccavano Vinnie Colaiuta alla batteria, Lionel  Louke alla chitarra e il bravissimo  Greg Phillinganes alle tastiere, con le quali ci ha inebriato di sonorità originali  distribuite con sapienza a supporto del leader,  autore di una performance di prim’ordine anche sul piano acustico. 

Nell’Arena Santa Giuliana si è esibito per la prima volta nella storia del festival il “Pat Metheny Group”, la leggendaria formazione guidata da Pat Metheny e Lyle Mays, che ha riscosso grande successo di pubblico.



Era dal 2005 che il PMG non suonava in Italia. Ben nove le date nel nostro Paese delle venticinque previste dal tour europeo (grande successo a Londra alla Barbican Hall).

 

Il gruppo, ad eccezione di una decina di date in Giappone a fine 2009, è praticamente fermo in attesa di un nuovo disco previsto per il nuovo anno. Si parla anche di un ampliamento della formazione con uno o due elementi che andranno ad aggiungersi  al quartetto visto all’opera in Italia che includeva  Antonio Sanchez alla batteria e Steve Rodby al basso.

Il tour ha riscosso notevole successo di pubblico. Perugia, Roma, Roccelletta di Borgia  le serate più riuscite oltre a Venezia (il 23) nella splendida cornice di Piazza San Marco.

Riproposti alcuni dei classici: da  Phase Dance, che ha aperto il concerto, a James, a Farmer’s Trust, ad Are You Going With me? a Last Train Home. Insomma c’erano tutti i presupposti per assistere a dei concerti indimenticabili.
La band non a caso ha titolato il tour "The Songbook Tour", proponendo solo materiale di repertorio.

Le prestazioni, seppur di altissimo livello, sono state un pochino condizionate dalla produzione tecnica del tour che ha penalizzato sonorità e tessiture e, non a caso Lyle Mays, lo straordinario pianista e tastierista, per la prima volta da trent’anni a questa parte non ha utilizzato lo Steinway Grand Piano (Hamburg) da sempre facente parte della strumentazione portata in tour dalla band, “accontentandosi” di  utilizzare il piano messo a disposizione dai singoli promoter.

 

 

Questi aspetti, poco noti al grande pubblico, non hanno soddisfatto a pieno i palati più esigenti, abituati alle magie sonore del grande tastierista. Sempre grande Pat Metheny, che seppur rinunciando a brani in solitario (a parte l’applauditissimo solo Into The Dream sulla mirabolante Manzer Pikasso 42 corde) è stato sempre all’altezza della sua fama.

A Venezia davanti a un pubblico calorosissimo il chitarrista del Missouri ha chiuso il tour italiano fra gli applausi. Strano comunque vederlo terminare  i concerti dopo un’ora e mezza con venticinque minuti di bis, abituati a cavalcate di quasi tre ore.

Pat a fine concerto  non era soddisfatto del palco, molto lontano dal pubblico anche se la location unica e l’ottima amplificazione hanno consentito  di assistere a uno spettacolo eccellente.

Sempre entusiasta Pat, pronto a riprendere in ottobre il Tour con l’Orchestrion: “Ora funziona alla perfezione, ho persino aggiunto altri strumenti grazie al lavoro di alcuni inventori che continuano a propormi nuovi marchingegni“.
Certo è che fino a che lo vedremo così motivato possiamo star pur certi di godere di nuovi entusiasmanti  progetti.  

Ah dimenticavo,  “perfetto” anche il servizio d’ordine, becero al punto giusto.