Ieri sera uno dei più grandi performer della storia del rock si è esibito nel suo unico concerto italiano a Piazzola sul Brenta, Padova: parliamo di Ozzy Osbourne, probabilmente il volto più noto del metal. Cantante britannico in attività dalla fine degli anni Sessanta, a lungo voce e frontman dei Black Sabbath, un nome che già indicava un programma militante, Osbourne ha firmato alcuni tra i pezzi celebri del genere più tosto e rumoroso del grande universo rock, da Paranoid a Children of the grave, da Sucidie solution a Iron man, ai più recenti No more tears e Mama, I’m coming home.



Al di la di storie mitiche e di leggende più o meno sataniche, Ozzy, ricchissimo sessantaduenne che (forse) ha superato i suoi decennali problemi di alcool ed eroina, immortalato da un reality che è andato in onda per un anno su Mtv (nel quale non ha avuto problemi a mostrare quel suo evidente stato di “assenza” dato dai suoi problemi di dislessia mai superati), è un personaggio fondamentale per comprende quanto il rock possa avere nei suoi momenti migliori una fortissima componente teatrale.



Dotato di una vocalità bizzarra, sempre incostante, ma controllatissima, goffo e quasi meccanico nei movimenti, Ozzy ha portato in scena con i suoi stupendi occhi fissi e spalancati oltremisura, un bagaglio di simbologia e teatralità nera, dando però ai cliché funerei un tocco di tragicità ironica, di romanticismo a-temporale. Non stiamo parlando della teatralità delle scenografie (qui altri sono i maestri: gli Yes e i Genesis degli anni Settanta, i Pink Floyd dei decenni successivi), ma della capacità di essere maschera nell’interpretazione di se stesso e delle proprie composizioni, tramite convincente di emozioni e rappresentazioni tra palco e platea.



La teatralità di Osbourne fa parte dell’empireo rock, quello stesso palcoscenico calcato dagli altri due grandi interpreti del genere, cioè Freddie Mercury e David Bowie. Il primo fisico, romantico e poderoso, il secondo colto, elegante e decadente. Tra i due, Ozzy è colui che parla con l’Oltretomba, lo sciamano-santone che richiama le forze di Gaia e dell’Ade, perfetto interprete di storie ora di Lovercraft, ora di Sam Raimi (convinto e serio, ma mai fino in fondo nella sua rappresentazione del sangue), quasi immobile sul palco eppure così mobile nelle sue estreme mimiche facciali, ora cannibalesche, ora timide o possedute. Una triade di maschere greche a cui ogni tanto qualcuno cerca di avvicinarsi (per non fare nomi: Marilyn Manson), ma senza averne la qualità musicale, la forza di convincimento, la continuità.
 

 

Vedendo su Youtube la strepitosa versione di uno dei suoi capolavori, No more tears, si osserva un breve fotogramma in cui il buon Ozzy si commuove e guarda il suo pubblico come fosse toccato da una luce sovrannaturale (non so se la stessa dei Blues brothers), mentre il fondotinta nerissimo gli cola sulle guance. Divertentissimo e straniante: il santone ha sentimenti, ringrazia gli adepti vecchi  e giovani, e in questo unisono tra teatrante e pubblico sembra Mario Merola al termine di un’interpretazione strappalacrime. Rito e teatro vanno a braccetto da tempi pre-cristiani, così come i sacrifici umani erano ultimamente celebrazioni per gli dei, ma anche per gli spettatori.
 

Qui sta il bello: Ozzy recita, è santone e maschera, interpreta ed è credibile ovunque, sempre e comunque. Mi son sempre divertito un mondo ad ascoltarlo o vederlo sul palco, perché son convinto che questo cantante di Birmingham che per i casi della vita interpreta il metal, avrebbe avuto un successo enorme anche lanciandosi nella dance music o nel reggae, perché la sua classe – folle, schizoide, aggressiva, decisamente metafisica, ma ultimamente dominata da uno sberleffo, come fosse il ghigno di Joker – oltrepassa il genere.

Soprattutto nei tre decenni post Black Sabbath, Ozzy ha superato i suoi stessi canoni, lasciandoli ai metallari incapaci di uscire dalla parte, quelli che riuscivano a divertirsi con classe con le stesse simbologie funerarie e demoniache (Iron Maiden in primis) e quelli che invece sui temi del satanismo ci hanno pestato pesante (tanto per dirne uno: i Venom; poi le tante bands scandinave e centroamericane in stile Brujeria; e per finire alcuni gruppi post Sepoltura).

E visto che Mercury è impegnato altrove, Bowie ha quasi appeso chitarra e microfono al muro (vive in Svizzera, gestisce un patrimonio colossale e continua a collezionare arte del Novecento), l’ultimo che mantiene alta bandiera del dramma e della maschera è il buon Ozzy. Che si presenta in questa estate 2010 in tour mondiale con un nuovo album, "Scream", e con un nuovo chitarrista, il greco Gus G, a sostituire una leggenda della sei corde come il rude (pure troppo) Zakk Wylde. Uno spettacolo. Un po’ tragedia, un po’ vaudeville, un po’ saga nordica. Di certo non per tutti i timpani e per tutti i palati, ma spettacolo comunque.