Da molti anni Giovanni Lindo Ferretti non calpesta i palcoscenici in compagnia delle canzoni della sua prima militanza musicale. Dopo lo scioglimento dei CSI e dopo la caduta di tutti i muri, dopo la riscoperta di una fede profonda e incarnata, il cantante-scrittore di Cerreto (ex punk ed ex voce di un estrema militanza anarchica), ha avuto solo tempo e voglia di canzoni e storie dell’Appenino emiliano e di confrontarsi (con compagni di viaggio come Ambrogio Sparagna) con musiche variamente riconducibili al patrimonio religioso presente o passato.



Ma qualcosa si sapeva che si stava muovendo, voci di concerti, notizie di tourneè. Così alcuni giorni fa Lindo Ferretti è tornato sulle sue tracce esibendosi a Bologna, una delle città che più ha seguito e amato la sua produzione musicale precedente, fin dai primissimi giorni dei CCCP, che nella loro storia avevano più volte suonato al centro sociale Livello 57.



Che ci fosse l’ipotesi di una rentrée, come detto, si poteva immaginare, ma che questa tourneé – denominata “A Cuor Contento Tour” – fosse così lunga e articolata (18/02/2011 – Trezzo Sull’Adda; 10/03/2011 – Torino; 18/03/2011 – Roncade (TV) ; 25/03/2011 – Roma; 26/03/2011 – Firenze; 1/04/2011 – Brescia; 2/04/2011 – Senigallia (AN); 16/04/2011 – Rimini) è di certo una sorpresa. Ma ancor più del numero dei concerti, ciò che lascia più stupiti è l’insieme di “formazione”, “scaletta” e “risposta del pubblico” di questo attesissimo ritorno del cantante emiliano.



Impossibile ormai vedere Ferretti in scena in compagnia di una formazione rock: con lui ci sono infatti Luca Alfonso Rossi alla chitarra elettrica e al basso ed Ezio Bonicelli che alterna un bel violino elettrico e una chitarra acustica su una scena volutamente spoglia (tre sedie, un leggio, amplificatori). Il suono del trio è fortemente evocativo, orante di litania psichedelica, spigoloso e dominato dalla voce di Ferretti, spesso monodica, urlante solo negli ultimi brani della serata. In questo tessuto sonoro, la scelta dei pezzi in scaletta da l’idea della rilettura che il cantante fa del suo passato e del suo “cuor contento” presente.

 
Si parte con tre “classici” del periodo CSI e CCCP come Depressione caspica, Narko’s e A tratti, poi ci si immerge nel sacro dell’ultimo disco dei PGR, con Cronaca Montana (“bisognerebbe cosa, bisognerebbe il presente”), Cronaca del 2009 e la commovente Cronaca filiale, delicata, concreta e descrittiva come un film di Tarkovsky.

Ma Ferretti zigzagando tra le sue epoche artistiche, presenta canzoni da tutta la passata produzione, così ecco Trabocca, poi Contatto (entrambe dall’ostico e forse sottovalutato "Co.Dex"), Annarella e i due pezzi più forti di "Tabula rasa elettrificata", M’importa ‘nasega e Unità di produzione (“Barbaro umanesimo bolscevico/ L’età del bruci il mondo caschi in terra/ L’età del tutto giù nuova la terra/ Rosso fiammante/ Splendente in età acerba di passione/ Ma senza età matura/ Marcia impostura/ Delirio onnipotente/ Dominio che sovrasta/ Efficenza d’inetto/ Burocratica casta”), il pezzo più aspro e violento contro il sogno deludente dell’ideologia realizzata.

Dal glorioso periodo CCCP salta fuori Paxo de Jerusalem (da Etica epica etnica pathos, il disco del primo periodo più citato durante il concerto), la canzone che insieme a Madre aveva già detto con lungo anticipo dove batteva il cuore di questo anarchico poeta-eremita: “Signore Dio bambino Carne di ragazzina vergine e madre A Lui io rendo culto Lui mi rapisce il cuore il mio Signore mio Dio Lui mi rapisce il cuore il mio Signore mio Dio”.

Concerto denso e chiaroscurale, di scelte musicali non facili, che privilegiano con naturalità le strade attuali di Ferretti, volutamente lontano da titoli attesi con ovvietà (Emilia paranoica e Jury spara), come aveva già detto nella bellissima Blu su Linea gotica (Ho dato al mio dolore/ La forma di parole abusate/ Che mi prometto di non pronunciare mai più). Straordinaria la risposta del pubblico di Bologna, a riprova di un affetto mai scaduto: gli oltre duemila presenti all’Estragon hanno seguito ogni singolo pezzo con attenzione e partecipazione.

Tanti sono i giovanissimi che cantano tutte le canzoni, anche le più impervie, anche le ultime religiosissime tratte da Ultime notizie di cronaca. Straordinario sentire degli under 20 intonare a squarciagola “Indifferenti al mistero che ci nutre e ci avvolge/ schiavi delle voglie sensibili e patetici/ immersi in mesti tormenti/ tra prevenzioni e aggiornamenti fecondi d’aborto/ e democratiche soluzioni eutanasiche”.

Sapranno cosa cantano? Sapranno – anche solo per una frazione di secondo – darsi una ragione per ciò che cantano in una serata di misticismo ferrettiano? Oppure e purtroppo questa è una sensazione che sempre più spesso m’accompagna – partecipare all’evento rock è già il contenuto essenziale e sufficiente per uno spettatore? Mi spiego: interessa ancora a qualcuno “cosa viene detto” da chi canta, oppure è sufficiente “essere dentro l’evento” e più nulla è davvero importante di ciò che viene detto, suonato e cantato da chi c’è sul palco?

Discorso lungo, che ci allontana dall’arte e dalla comunicazione musicale e ci porta al rito, al mito, alla piatta uniformità dei contenuti oggigiorno percepiti (non a quelli espressi, bensì a quelli ricevuti). Ma lasciamo perdere: sicuramente il bello e il vero (quelli di cui Ferretti canta in Cronaca divina) penetra, permea e si comunica ovunque.

Così il cuor contento a cui Giovanni Lindo si riferisce nel definire questo suo tour è forse quello di chi se ne va dopo cento minuti di incontro umano e musicale, estatico, carnalissimo, viscerale. Un incontro con un artista che, giorno dopo giorno, conferma di essere unico nel nostro Paese e forse nel resto del pianeta (neppure Nick Cave andrebbe in scena così coraggiosamente).