L’associazione di idee porta talvolta a pensieri distorti e a conclusioni affrettate. Ho sempre accostato il violino alla sola musica classica. Al massimo alla musica tradizionale folk, ma giusto quella irlandese. Il rock l’ho sempre visto distante anni luce dagli archi; almeno quello duro e puro. Il concerto dei Dirty Three servito a smentire più luoghi comuni e tutti in una stessa serata. A spingermi da loro è stato l’amore sconfinato per Nick Cave. Warren Ellis, oltre ad essere il fido compagno di Re Inkiostro nei Bad Seeds e nei Grinderman, da quasi venti anni porta avanti un progetto parallelo con Mick Turner (chitarra) e con Jim White (batteria). Lo Sporco Trio appunto. I loro dischi, con punte di eccellenza come “Ocean songs”, mi sono spesso sembrati piatti.
Ho sempre fatto fatica ad ascoltare la musica rock priva della voce. Amo e apprezzo le colonne sonore ma ciò che mi affascina di queste è sempre stato l’accostamento alla magia delle immagini. Senza andare lontano le soundtrack di “The Road” e di “The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford” sono da subito rimaste impresse nella mia memoria. La tournée europea, che segue di qualche mese quella in Oceania, si propone di far conoscere i brani di “Toward the Low Sun” uscito nel mese di febbraio dopo circa sei anni dall’ultimo album “Cinder”. Siamo a Parigi. Il luogo previsto per lo show è Le Trabendo”inserito nel contesto del Parc de la Villette, uno dei più grandi parchi della città. Al suo interno sono ospitate la Città della Scienza e dell’Industria, la Cité de la Musique con tanto di Conservatorio, di Museo della Musica e di Sale per concerti tra cui il celebre Le Zenith. Le Trabendo è una sala con capienza massima di 700 posti principalmente dedicata a performance jazz e di Rhythm and Blues.
La mia aspettativa pertanto è di una serata tranquilla. Un locale con posti a sedere, magari con tavolini dove poter sorseggiare comodamente un drink con tanto di sottofondo musicale di qualità. Un abbaglio totale: calca a ridosso del palco, birra al bancone e comoda seduta in transenna. I Dirty Three sono una band strumentale originaria di Melbourne. Il solo Mick Turner è rimasto fedele alla terra dei canguri mentre Jim White tutt’oggi vive a New York. A fare gli onori di casa è Warren Ellis, trasferitosi da diversi anni a Parigi. Sarà lui il vero mattatore della serata. Warren Ellis sul palco è un vero pazzo scatenato. Non ci sono mezzi termini per definirlo. Capelli lunghi, barba da cavernicolo, camicia stile hawaiano aperta che mette in mostra il petto villoso e diversi ciondoli tra cui una grossa croce argentata. Spalle costantemente rivolte verso il pubblico, fa tutto e il contrario di tutto. Con un fare primordiale si dimena lungo il palco come fosse un animale ferito, saltando, scalciando e buttandosi a terra sotto lo sguardo impassibile e distaccato dei suoi compagni. Nelle sue mani il violino diventa prima una chitarra e poi un’armonica a bocca; la voce un latrato supplichevole e il palco un giaciglio dove sdraiasi.
Tra un brano e l’altro, tra una lattina di Perrier e una banana, il selvaggio Warren si trasforma in magico storyteller e in poeta crepuscolare accattivandosi i favori del pubblico grazie anche alla sua capacità di dialogare indifferentemente in inglese e in francese. I brani inseriti in scaletta sono principalmente tratti dall’ultima produzione ed occupano la prima parte dello show.
L’apertura è lasciata alla malinconica delicatezza di Rain Song che sfocia senza interruzioni nella caotica e psichedelica Furnace Skies in cui il violino perde tutta la sua delicatezza celestiale e diventa uno strumento indiavolato. Sometimes I forget you’ve gone è caotica e struggente in cui spiccano i virtuosismi di Warren. The Pier, a mio avviso il miglior pezzo tratto da “Toward the Low Sun”, è soave e romantica, mentre Rising Below è al contrario nervosa e contorta. Spazio al passato con Some Summers they drop like flies, Sea above, Sky Below eHope. Se l’inizio di ogni brano richiede il massimo silenzio con suoni minimali e appena accennati, l’incedere è incalzante e la parte finale si tramuta sempre in un delirio distorto di suoni infuriati.
La conclusione è affidata a Ends of the Earth in cui Warren, dividendosi tra il violino e il piano, dapprima fa rivivere agli strumenti tutta l’eleganza classica e poi da sfogo ad un finale rabbioso e rovente. Una bella e intensa serata Rock. Non ci sono state parole, ma in questo caso è stato solo un bene. La voce ne sarebbe uscita stonata. A novembre i Dirty Three dovrebbero essere a Milano. Da non perdere.