Due canzoni per Simona Molinari e Peter Cincotti. La prima “Dr. Jekyll e Mr. Hide” uno swing inedito scritto da Lelio Luttazzi, regalo della vedova dell’autore scomparso nel 2010. L’autore coglie l’ambiguità ambivalente del comportamento umano. Ambiguo verso la donna, ambiguo davanti alla realtà. Qui è la prima nota di verità: lo sguardo dell’uomo è sempre ambiguo di fronte alla realtà, se non si lascia correggere da essa nella sua verità. Il testo non arriva a tanto, però alla domanda più volte ripetuta “Ma tu chi sei?“, fa eco un “E io chi sono?” per nulla banale, pur non detto esplicitamente. Quando guardo mia zia novantenne che ha perso completamente la memoria mi trovo davanti allo stesso dilemma: è un mistero davanti a cui inchinarsi, curando e custodendo ogni residuo accento di vita, o è un “rifiuto” che finirà nel nulla, da cui distogliere lo sguardo? Chissà, forse dipenderà dalla musica se potrò ricordarmi di mia zia canticchiando, in macchina, questa canzone o se le rime, non proprio poetiche, un pò ingenue e ripetitive, non mi faranno venir voglia di cantarla. La seconda canzone è una ballata folk “La felicità“, scritta da Simona Molinari stessa. La felicità è perduta per l’errore di un attimo. In realtà non sembra l’errore di un attimo cui, forse, si può ancora rimediare perchè: “Io dicevo ti amo, tu dicevi una bugia“. “Felicità è che lui torni“, “But I need you back“, ma lui se ne è andato. Felicità è il possesso dell’altro, ora irrimediabilmente perduto. Rimane lo smarrimento di una solitudine da cui non si può tornare indietro. Una serie di immagini si susseguono per cercare di rendere il vuoto di questa vita senza l ‘amore. Davanti alla sua solitudine la natura insensibile si distende nella sua bellezza e ride di lei: suggerimento di altri echi di solitudini mi percuotono la memoria. L’immagine di lei sorpresa nell’indolenza che la coglie lungo il corso della sua giornata evoca momenti già vissuti, in cui si era persa la ragione del vivere. Tutto nasce da una domanda di felicità che ha incontrato una risposta inadeguata, ridotta a qualcuno che si vuol possedere. “Ero convinta che sarei riuscita a cambiarti un po’“. Identificare la felicità nel possesso porta confusione “Quello che voglio no non lo so neanch’io poi cos’è” e infelicitá: “Io la mattina sono già in lutto… Non ricordo più che sapore ha la felicità!“. Insomma un desiderio vero destinato a sicura delusione.
Mia figlia, più esperta di me del mondo delle canzoni e dei giovani mi conferma che spesso, per non dire sempre, c’è questo equivoco: la risposta al proprio desiderio è l’altro, tour court, così si finisce per possederlo andando incontro ad una delusione che distrugge entrambi. È la promessa infinita che l’altro suscita in te, che fine fa? Perchè non guardarla, custodirla, metterla a tema della propria vita? Questo il testo, ma io credo che moltissima parte spetterà alla musica e all’interpretazione. Di solito non guardo mai Sanremo, come avrete capito. Ma quest’anno almeno queste canzoni penso che le ascolterò.
(Mariarosa Toffoletto)