Il dub mediterraneo che è il marchio di fabbrica degli Almamegretta sbarca a Sanremo, e ne avremo prova nei brani Onda che vai e Mamma non lo sa. Il primo è stato scritto da Federico Zampaglione (Tiromancino), e nel leggerlo porta subito a domandarsi come si sposeranno, nell’ascolto, le due impostazioni melodiche che caratterizzano la band partenopea e il sound del cantautore romano. La canzone è scritta dal punto di vista di un viaggiatore che, per mare e guidato dal vento che gli gonfia la vela, punta verso una riva “che neanche si vedeva”. Quando però vengono menzionate “le luci dell’Avana all’orizzonte/ come una galassia lontana”, veniamo presi da una suggestione incerta: si tratta del punto da cui si è partiti o della meta agognata? Ma la portata evocativa del testo prosegue, perché ad aggiungere un’altra illuminazione interessante sono i versi che concludono il ritornello: “E la vita come luce sospesa sul mare/ si rompeva in mille schegge da non potersi più afferrare”. Sono parole che sembrano evocare la condizione assolutamente precaria, e spesso dagli esiti funesti, di chi affronta un viaggio della speranza su barconi di fortuna nella speranza di un’esistenza migliore. Bella questa operazione di Zampaglione, che aggiunge immagini, suggerisce spunti e arricchisce un testo in cui il “tu” a cui ci si rivolge è proprio l’onda del titolo, che fa idealmente il paio con “questo cielo di stelle e libertà”, la libertà – nel senso più pieno ed esteso del termine – a cui anela il protagonista. Quando l’ultima strofa si conclude con: “sognavamo leoni al tramonto/ nello spazio senza fine di una spiaggia africana” viene da chiedersi dove si trovino adesso i protagonisti di questa fetta di vita in mare, se la spiaggia sia stata raggiunta, e verso quali esperienze.
Il secondo pezzo, Mamma non lo sa, è stato scritto interamente dalla band, e la paternità di Raiz (Gennaro Della Volpe) nel testo emerge sin dal titolo. Senza ancora aver letto nessun verso, ci si sente già immersi nel sud che è l’anima del gruppo napoletano. Un sud che viene dipinto come espropriato delle sue caratteristiche dal progresso che deve fare il suo corso. E quindi Raiz canta l’evoluzione sociale, personale e culturale che diventa cambiamento di identità: perché non solo “Ho imparato a leggere e pure a parlà”, ma “Mangio scatolette non cucino più/ Festa del paese non ci vengo e tu?/ C’è il pallone alla tv”. Il rapporto diretto con la natura e la propria terra si è trasformato in assimilazione alla vita che si fa nelle città in cui il cielo è meno blu e il sole meno caldo. Una globalizzazione del vivere che è una versione moderna e contemporanea del Ragazzo della via Gluck ma, rispetto al classico di Celentano, il testo di Raiz presenta maggiori riferimenti alla vita di oggi: “E poi un giorno/ mi avete detto/ Le cose vanno male/ devi venirci incontro/ devi fare la tua parte/ e tante altre cose che non ho capito ancora bene”.
Cronaca del tutto attuale: emerge ulteriormente l’aderenza alla realtà sociale che gli Almamegretta sono da sempre interessati a cantare. Qui la denuncia sembra essere smorzata da un velo di ironia, ma non per questo risulta meno efficace, e questa è una nota di merito per Raiz. Belli e di grande impatto – contenutistico ed emotivo – sono senz’altro i versi “E se anche volessi tornare indietro/ troverei il mio paese che ha alzato bandiera bianca”. Una concisa e terribile fotografia dell’Italia attuale, inquietante perché veritiera. Molto efficace anche il passaggio “dalla zappa alla catena”, dove astutamente si sottintende quella di montaggio in fabbrica, ma si focalizza l’attenzione sulla progressiva perdita di libertà e umanità.
Assolutamente promossi gli Almamegretta, soprattutto per la seconda canzone: bravo Raiz con un testo che, con intelligenza e modernità, riesce a toccare nel profondo senza cadere in sentimentalismi o banalità. Va dritto all’obiettivo. E se il tutto è condito dal sound che caratterizza la musica della band partenopea, possiamo augurarci che il pubblico si faccia trascinare dalla forza di un gruppo originale e innovativo.
(Simona Martini)