Sanremo 2013, analisi musicale dei brani della prima serata – Arrivo a questa prima serata di corsa. Un po’ non ho avuto il tempo e un po’ non ho voluto documentarmi in anticipo, come altre volte ho fatto. Sono arrivato volutamente impreparato, per cercare di ascoltare le canzoni senza filtri, senza pregiudizi, senza commenti predigeriti. 



L’unica cosa che so – e che mi sembra interessante – è che ogni artista presenta due pezzi, e dei due, votati immediatamente da televoto e giuria dei giornalisti, uno solo passa e resta per la sfida finale dell’ultima sera. Dopo l’omaggio a Verdi e altre quisquilie, ci vogliono le nove e un quarto per sentire il primo artista. È Marco Mengoni, che presenta due canzoni abbastanza convenzionali, seppur appartenenti a due generi diversi – melodico italiano e rock leggero – e l’impressione è che non riesca ad esprimersi bene dal punto di vista vocale. Passa la canzone melodica, sicuramente la migliore, L’essenziale. 



Segue Raphael Gualazzi. Senza ritegno è un pezzo anomalo ma presuntuoso, che l’artista non riesce a far decollare per molti problemi vocali. Un po’ meglio il secondo pezzo, che alla fine passa il turno, Sai (ci basta un sogno). 

È il turno di Daniele Silvestri. Si siede al pianoforte e attacca un brano dal testo profondo, anche se un po’ troppo nostalgico e sessantottino. Però il brano è intenso, respira, varia il ritmo, si avvicina a una canzone d’altri tempi. Sicuramente la cosa migliore apparsa sul palco, finora. La seconda, Il bisogno di te (ricatto d’onor) (ma è il festival dei titoli fra parentesi?) è più di maniera, una specie di funkettone sulle orme di Salirò. Resta la canzone impegnata, che secondo le stesse parole di Silvestri, ‘ha più bisogno di stare qua’. Detto in altre parole, l’altra si vende da sola. 



Simona Molinari con Peter Cincotti. Per quanto mi riguarda, grande delusione. La prima canzone è una versione attualizzata di Un bacio a mezzanotte. La cantante è già un clone di se stessa e qualunque canzone che si avvicini al jazz presenta la Sindrome di Bublè, suonando vecchia e datata. Silvia, pur brava vocalmente – tranne qualche svarione nel registro basso, risulta essere simile ad altre italiane, a loro volta simili ad artisti stranieri. Unico picco di qualità il pianismo di Cincotti. Passa La Felicità, la seconda canzone, fra le due quella più giocosa.  

Qui si innesta lo show di Crozza, che viene contestato pesantemente dal pubblico. Non voglio entrare nei dettagli: in definitiva prima che un altro partecipante alla ‘gara canora’ salga sul palco deve passare quasi un’ora.

Marta sui tubi, rappresentanti del mondo indipendente italiano, irrompono sul palco dell’Ariston con una certa veemenza. Le loro due canzoni sono simili e tipiche del loro mondo. L’impasto strumentale ruggisce, ma la performance vocale lascia un po’ a desiderare. Fra Dispari e Vorrei passa la seconda con il 63 per cento  di preferenze. 

Maria Nazionale è una cantante partenopea, con lei si ritorna ad un ambito più tradizionale. Quando non parloè vagamente etnica, spunta anche un bouzouki e appare il ricordo di Iamme Ià, il brano cantato qualche anno fa in coppia con Nino D’Angelo. È colpa mia  è un brano tradizionale melodico: buone doti vocali, pur essendo la melodia infarcita di troppi vibrati. Passa la seconda.  Dopo il premio a Toto Cutugno che occupa una ventina di minuti, è ormai mezzanotte e un quarto quando sale sul palcoscenico Chiara Galiazzo, vincitrice dello scorso X factor, le cui doti vocali sono innegabili. La formula è grossomodo la stessa, sia per L’esperienza dell’amore che per Il futuro che sarà: strofa contenuta e ritornello che spara un po’ di più. È talmente tardi che mi perdo quale delle due canzoni passa il turno, in ogni caso il mondo di riferimento era simile. 

Che dire globalmente: show lunghissimo, estenuante. Espediente delle due canzoni per artista: farraginoso, crea ulteriore pesantezza e lungaggini. Le canzoni: niente di nuovo sotto il sole, o quasi. Da una parte viene voglia di vedere se domani (in realtà già oggi) da Elio, Gazzè e soci salta fuori qualcosa di maggior valore.