Scrivere canzoni che trattino il tema dell’amore (che trionfa, che muore, che inganna o rianima…) è un’ardua sfida per i cantautori italiani di oggi, quando pare che tutto sia stato già detto e ogni emozione sia stata spolpata fino al midollo; quando occorre essere molto accorti per non cadere nella retorica. Eppure nei testi che Giuliano Sangiorgi ha pensato insieme a Malika Ayane si possono trovare delle note che stupiscono e il tema amoroso viene modellato con un tocco molto personale. La voce di Malika ci farà sentire due monologhi dalla forte connotazione intimistica. Ci si trova in un temponinteriore indefinito, senza alcuna coordinata se non la percezione un po’ sfuggente di qualcosa di distante (forse per sempre, forse no…) e che ha lasciato una ferita che non si rimargina ancora. Non interessa riportare fatti o luoghi, neppure additare colpe o errori, soltanto mettere a nudo due diversi istanti di un lungo e tormentato pensiero nelle sue sfumature e nei suoi contrasti più densi. Non ci viene chiesto di inseguire i fantasmi del passato ma di confrontarci con i sentimenti che ora popolano il cuore di colei che si confessa calandosi in una dimensione che ricerca tratti poetici.
E se poi. Il testo non è di semplice comprensione e forse pecca di una eccessiva astrazione che rischia discipire il lirismo delle parole. Il periodo ipotetico che inizia con le prime battute (E se poi / capissi che / tuttoè uguale a prima / e come prima / mi sentissi inutile…) si attorciglia quasi senza respiro calando a poco apoco nella paura della voce narrante, nel dramma di una nostalgia che fa sentire inconsistente (bellissima l’immagine della seconda strofa: Ma senza di noi / chi vola? / Sono solo ali e piume / nient’altro ancora) e del ricordo un po’ annebbiato del senso di questo strappo un po’ subìto e un po’ voluto (a vederti andar via ancora risponde il vedermi andar via ancora dell’ultimo ritornello). Il finale mostra il punto di fuga per questo dramma: il ricordo di ogni giorno sempre più stretto che ha determinato lo squarcio. Un prezzo troppo duro da pagare e che dissipa la paura di partenza nella riscoperta di un forte desiderio di libertà.
Niente. Il principio costruttivo è simile al testo precedente, ma qui domina un sentimento diverso. Ciascun verso è netto, conciso, rispecchia un pensiero alacre e disilluso, sin dalla domanda d’esordio: Cos’ho? All’elemento di rottura, di fine dolorosa che ancora emerge si affianca il contrasto con un mondo che non ha più nulla da dire (quelli che parlano, parlano, parlano ancora) e con un sogno rivelatosi effimero e lacerante (C’è una stella cadente / ma era l’ultima già / e schiantandosi precipita / sulla mia pelle). Nessun pensieroo ricordo riesce a consolare davanti alla consapevolezza sempre più nitida di aver perso una parte di sé in un rapporto che non c’è più e che non ha restituito quello che ha chiesto… e non resta più niente / Proprioniente / Del senso che abbiamo perso / Nei gesti di un altro.



Questi fili di pensiero, lasciano tanto all’interpretazione: sia alla nostra di lettori (e presto ascoltatori), sia a quella della voce di Malika. Si tratta certamente di una scelta rischiosa; basti pensare, per dirne una, al fluire del testo con molte ripetizioni delle stesse parole, in una costruzione in certi passaggi opaca e che non si è mai certi di come vada letta. Insomma, non tutti i tentativi poetici sono riusciti e un pizzico di quella retoricità di cui si diceva all’inizio non manca. Ma è anche una sfida interessante. Sarà seguendo il suo canto, io credo, che potremo capire se in Niente vince davvero il vuoto, se si tratta di un inno alla sconfitta oppure del grido di chi vuole ricominciare, ma ancora non trova da dove. E sarà sempre ascoltando Malika che potremo capire meglio il fascino di questa battaglia tra paura e libertà che con Sangiorgi ha provato a regalarci in E se poi. Del resto, è questa una delle affascinanti sfide della musica.



(Lucia Gorini)

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