Sanremo 2013, commento alla terza serata – Si è andati in scioltezza. Fazio sembra meno ingessato, certo l’emozione non gliela cavi di dosso neanche a morire, ma se non altro ha dimostrato maggior brillantezza di riflessi. La Littizzetto si riconferma la pietra angolare di questa edizione, senza di lei  il festival avrebbe sicuramente avuto due marce in meno. La serata si è svolta riascoltando tutte le canzoni in gara e sono sempre più convinta che la regola della metabolizzazione sia necessaria, guarda caso infatti nella terza serata le canzoni ci sembrano tutte meno brutte. Non c’è dubbio che in questo processo, il martellamento delle radio in questi giorni ha fatto il suo dovere. 



La terza serata si apre con un simpatico siparietto, dedicato alla festività di San Valentino, ovvero il duetto Fazio-Littizzetto sulle note di “Vattene Amore”, niente da dire, l’interpretazione minghiana di Fazio riesce pure a strappare qualche sorriso. Questa puntata ha brillata sopratutto per gli ospiti. Roberto Baggio emozionato ed emozionante, un vero esempio di come un calciatore si possa reinventare e diventare modello umano per tutti. La sua lettera semplice ha commosso, con i suoi consigli che forse hanno da insegnare più di qualsiasi comizio. Anche la rete è stata unanime nel celebrare  il grande campione. Il secondo momento altissimo di questo festival è stata l’esibizione di Antony and The Johnsons, un artista “alieno”, di quelli come non se ne vedevano da anni sul palco dell’Ariston. Mi ha fatto pensare un commento che ho letto su un social network, ovvero che questo grande artista ce l’ha portato la crisi.
Se a Sanremo ci fossero stati più soldi probabilmente si sarebbe puntato sul solito divetto del momento, famoso quanto effimero. Interessanti anche i due momenti  socialmente utili: il monologo della Littizzetto sugli uomini, iniziato per far ridere e finito per far pensare, seguito dal balletto che ieri è stato replicato in tutto il mondo come flash mob contro la violenza sulle donne, dal titolo  “One billion rising – Break the chain”, ideato da Eve Ensler, autrice dei Monologhi della Vagina.
Il secondo momento socialmente utile è stato l’intervento della pianista appena ventenne  Leonora Armellini, chiamata all’ultimo tuffo a sostituire il maestro Barenboim, assente per motivi di salute. Niente di eccelso in sé, senonché finalmente nel tempio delle canzonette si riesce a far passare anche un po’ di musica colta, e questo male non fa mai.  Ma si sa, il Festival di Sanremo è sempre stato  un guazzabuglio di incoerenze, perché davanti alla televisione  ci stanno tutti, dai radical chic di sinistra, fino alla citatissima casalinga di Voghera. E allora per par condicio non ci si poteva esimere dal momento malinconico-trash, ieri affidato ad Al Bano che ha fatto la sua apparizione sulle note di “Nostalgia Canaglia”. Per quanto si voglia denigrarlo, questo è il vero Sanremo, quello che tutti, volenti o nolenti, canticchiano e ballonzolano, dalla casalinga di Voghera apertamente e senza vergogna, al radical chic nel buio della sua cameretta, mentre con la mano destra scrive commenti feroci per non farsi scoprire. 



Ma passiamo alle canzoni in gara. L’apertura di questa terza serata è affidata al duo Molinari-Cincotti, una canzone inutile, qua neanche la metabolizzazione può aiutare più di tanto, eppure alla fine la classifica parziale gli concede un veramente poco meritato sesto posto, misteri del televoto. 

Mengoni con la solita pappa melensa, peccato che ancora non si siano capite le vere potenzialità di questo ragazzo. Alla fine comunque a sorpresa arriva primo, essere bellino poi mica gli guasta. Gli Eli rimangono la vera e unica nota (per rimanere in tema con la loro canzone) di alto profilo di questo festival, ovazione in sala, peccato poi raggiungano solo uno scarsissimo ottavo posto, rimisteri del televoto. 



La Ayane ha una canzone non brutta, però ha il difetto di non decollare e di non mettere in risalto abbastanza la sua vocalità, portandola a forzare sulla gestualità. E’ una delle favorite, ma per ora si piazza a uno scarsissimo dodicesimo posto. I Marta Sui Tubi è già tanto che ci siano su un palco come questo, fanno loro stessi con coerenza, coerenza che eravamo certi non venisse premiata e infatti si beccano il penultimo posto in classifica. Chiara ha una canzoncina brutta davvero, si salva giusto il testo scritto da Bianconi, però lei si sarebbe davvero meritata qualcosa di meglio. Comunque si piazza al quarto posto, non male per una che fino ad ieri non aveva mai visto un palco. 

Gazzé ha un motivetto orecchiabile, senza però cascare nell’eccessiva scontatezza,  e però più che al decimo posto non sale, nonostante lo smalto nero. Annalisa è bella, è bella senza se e senza ma e non so se perché è così bella,  ma la canzone al secondo ascolto pare meno peggio di quello che sembrava, arriva terza. Maria Nazionale, un po’ mortificata dall’arrivare dopo la bellissima e giovanissima Annalisa, si difende con uno scollo di tutto rispetto e comunque ci regala uno spaccato della vera canzone melodica italiana, quella che proprio da Sanremo non può prescindere, pena il solito meteorite. Il pubblico le regala un dignitosissimo settimo posto. Cristicchi che imita Silvestri non convince fino in fondo, anche se il testo non è male, infatti arriva undicesimo. 

E’ inutile fare gli struzzi, i Modà sono Sanremo, come in passato Sanremo è stato Al Bano. Purtroppo aggiungo io. Scontatissimo il loro secondo posto. Daniele Silvestri è uno che sa scrivere, lo fa con tutti i crismi, purtroppo il televoto lo punisce e lo manda solo al nono posto. Gli Almamegretta hanno un pezzettino alla fine orecchiabile e ballabile, però se la loro diretta competitor è Maria Nazionale non hanno scampo e finiscono diritti diritto all’ultimo posto. Gualazzi quest’anno ha fatto il piacione con un pezzo in pieno Sanremo stlyle, il pubblico lo premia e lo manda al quinto posto. 

I giovani anche ieri non pervenuti. Andrea Nardinocchi inutile, non basta un computer per essere giovane, soprattutto se poi si scrivono quei testi là. Antonio Maggio è il meno peggio, anche se manca il guizzo. Paolo Simoni: il povero ragazzo ci prova da anni, l’accanimento terapeutico in questi casi fa solo del male. Ilaria Porceddu: non pervenuta, eppure passa il turno, grazia alla tecnica dell’urlatrice bellina, insieme ad Antonio Maggio. 

In questa seconda serata mi rimangono solo due enormi interrogativi: a che cavolo servono scenograficamente quelle poltroncine rosse ingabbiate dal pexiglass? E perché non ce la facciamo a trovare un fonico decente che rimandi dei suoni decenti a noi poveri spettatori da casa?

 

(Barbara Dardanelli)