Forse il festival di Sanremo non ha  mai goduto di una tale eleganza a livello scenografico, ma non solo. Francesca Montinaro ha probabilmente disegnato una scena così teatrale, così alta che si può definire con una parola sola: fantastica. Dal punto di vista visivo va premiata la conduzione di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto: allegria, simpatia, anche classe. Sono anti tradizionali e anti liturgici, sempre pimpanti e mai fuori delle righe. Tra di loro c’è una tale complicità  che possono concedersi di cantare anche “Trottolino amoroso” mentre lei così poco appariscente dal punto di vista fisico può permettersi di partecipare a un balletto con delle professioniste senza apparire fuori luogo. E’ questa dissonanza che esprimono a risultare splendida nel suo complesso, giocano su un surplus molto solido.



I complimenti per questo festival vanno anche agli autori, che sanno scrivere scalette dove nulla appare fuori posto. Nel corso della terza serata ad esempio sono riusciti a mettere insieme Antony (al quale non perdono la predica troppo lunga, mentre musicalmente è stato fantastico), il monologo della Littizzetto sulla violenza alle donne e quella specie di micro festival gaglioffo e ultra popolare di Al Bano in una scaletta coerente tra cose così diverse. Ci vogliono degli autori bravissimi per fare ciò e il giudizio è che è un Sanremo scritto benissimo.



Dal punto di vista musicale bisogna prima di tutto citare il caso di Elio e le storie tese. Il loro brano è un tale sfoggio di ironia, finezza musicale, capacità comunicativa, genialità nel costruire una canzone di una sola nota ma che sotto tante armonie  da risultare una specie di carnevale continuo. Personalmente è questa la musica che a me interessa, ma mi rendo conto che è un tale outsider che non va preso come simbolo di Sanremo. Elio è un’altro gioco, un’altra gara. 

Andando verso i concorrenti tradizionali, mi ha bene impressionato Rapahel Gualazzi: mi piace per il coraggio di entrare dentro con il sussurrato in modo molto raffinato, quasi al limite del rischio comunicativo. Chiara Galiazzi è brava ma ha pezzi troppo antichi per lei, come lo era anche quello scritto per lei da Eros Ramazzotti per X Factor.  E’ come se fosse già nel mainstream per adulti, invece da un giovane mi aspetto altro. In questo senso trovo più brava Annalisa, più adeguata alla su generazione. Il pezzo di Chiara come stile mi sembra più vecchio.



Vanno spese poi due parole su Marco Mengoni che ha presentato una canzone al quadrato: ha grandi chance di vincere, la sua canzone è perfetta, sta a metà fra moderno, pop e sanremese. Un pezzo equilibrato. Personalmente mi piaceva il pezzo di Malika Ayane che è stato eliminato, avevo perso la testa per quel brano, l’altro lo trovo meno rilevante.

Due parole sulle band, soprattutto Marta sui tubi e Almamegretta. Dei primi mi piace molto il brano che presentano, è  molto ben scritto. Ma le band hanno un problema: a Sanremo ci sono cantanti così bravi che i cantanti delle band appaiono interpreti “sound”, racchiusi nelle sonorità dei loro gruppi, per cui sembra siano meno bravi degli altri, cosa che invece non è vera. Degli Almamegreatta non si capisce una parola e l’altro sembra sul limite della stonatura. Il fatto è che ormai i cantanti grazie alle scuole di canto e ai talent sono diventati così bravi tecnicamente e nella pronuncia del testo della canzone che i cantanti delle band essendo più “selvaggi” fanno fatica a emergere sul palco di Sanremo. Messi su quel palco sembra che cantino male.

Ho trovato infine una grandissima idea il meccanismo delle due canzoni. In qualche modo dà la possibilità a un artista di avere una tavolozza di quasi dieci minuti. E’ anche un bel rischio da parte della Rai perché se hai gli Almamegretta o i Marta sui tubi è difficile tenere desta l’attenzione del pubblico per ben due canzoni.