SANREMO 2013 – La quarta puntata di Sanremo è stata dedicata al revival. La stanchezza si fa sentire, Fazio dopo la parentesi brillante della terza serata, è ritornato smorto come non mai.Sicuramente si potrebbe allenare di più sulla risata, che sembra più una punizione che un piacere. Fastidioso anche quando cerca di fare il maestrino, smorzando i toni della Littizzetto, unica fiamma viva di questo Festival.Nonostante ciò, anche la Littizzetto in questa quarta puntata, sembra accusare la stanchezza, mostrandos iun po’ sottotono. Sicuramente la Lucianina nazionale riesce a dare il meglio di sé nell’improvvisazione,con quelle piccole battute pungenti che arrivano come zanzare, piuttosto  che nei suoi famosi monologhi ormai forse un po’ inflazionati.Anche questa sera gli ospiti hanno regalato agli spettatori la parte migliore degllo spettacolo.
Un ottimo Bollani in grande forma, che in pochi minuti regala una lezione magitrale di come si possa fare musica colta e spettacolo senza risultare pesanti. Meravigliosa la parte dedicata alle canzioni su richiesta del pubblico, dove Bollani improvvisa un medley tra Terra Promessa, Papaveri e Papere e Perdere l’amore. Credo che lo Stato uno come Bollani, dovrebbe pagarlo per fare il divulgatore di cultura musicale. Un altro momento alto è stata l’esibizione di Caetano Veloso, anche se un po’ appannato rimane sempre uno dei più grandi signori della musica mondiale, un vero regalo anche il duetto con Bollani.Insomma quest’anno gli ospiti hanno regalato le sorprese migliori, se pensiamo che solo tre anni fa si buttavano via soldi ad invitare i Tokio Hotel, viene da pensare che forse tutto non è ancora perduto.Purtroppo durante la serata ci sono stati anche momenti di revival nel revival che hanno abbassato un po’ il tono del discorso, ma si sa, a Sanremo ci vogliono anche questi, ci vogliono soprattutto questi. Ancora. Purtroppo. Niente da ridire sulla presenza di Pippo Baudo, un omaggio ad uno dei mestri della televisione italiana era doveroso.
Pippo poi è uno che sa, uno competente sta sul palco da una vita con una professionalità che le nuove generazioni dovrebbero imparare. Un premio era necessario.Purtroppo ci sono stati altri momenti in cui ripercorrere la storia del festival ha creato solo un enorme imbarazzo. L’apparizione dei figli d’arte, Gianmarco Tognazzi, Rosita Celentano, Denni Quinn e Paola Dominguin. Sinceramente è sembrato di cattivo gusto ricordare una delle pagine più imbarazzanti, in quanto a bruttezza, della storia della televisione italiana.Un altro momento palesemente riempitivo e veramente inedeguato ai contenuti festivalieri di quest’anno è stato l’inserto con il pupazzo Rockfeller. E’ come se a un certo punto ci si sentisse quasi in colpa di aver fatto le cose per bene e si sentisse il dovere di mettere la stonatura. Comunque la puntata si apre con alcuni filmati d’epoca commentati dalla voce fuoricampo di Fazio, seguiti  dall’entrata in scena della Litti che indossa il vestito di Nilla Pizza. Segue un breve siparietto in cui i due prendono in giro alcuni titoli e canzoni dell’epoca, rammentandone la tristezza. Non male per entrare nello spirito della serata in maniere solenne ma non troppo,insomma senza predersi troppo sul serio, cosa che è sembrata molto intelligente.E’ come se avessero messo un po’ le mani avanti per dire “noi la facciamo questa cosa, ma voi prendetela come un gioco”, premessa sottintesa e apprezzabile, visto che molti artisti in gara hanno deciso di misurarsi con mostri sacri facendo non troppo una bella figura.
Il compito di aprire le esibizioni spetta a Malika Ayane, che ha scelto una canzone veramente appropriata a differenza di altri suoi colleghi. La canzone è “Cosa hai messo nel caffè” interpretata da Riccardo Del Turco e Antoine nel 1969 e scritta dall’immenso Bigazzi, uno che l’autore lo sapeva fare eccome, re incontrastato per anni di questa kermesse. 



L’esibizione risulta deliziosa, granzie anche al condimento affidato a un balletto in linea con la canzone.Subito dopo Daniele Silvestri penalizzato dall’emozione. Infatti il cantautore romano ha deciso di misurarsi con Dalla, presentando Piazza Grande. Stona, non convince, inaccettabile qualsiasi paragone e si comincia a pensare come con certi mostri sacri sia davvero rischioso confrontarsi. Silvestri ha sempre avuto un’interpretazione scarna a differenza di Dalla, era quasi certo lo scivolone.Subito dopo l’esibizione di Silvestri, viene presentata la giuria di qualità, roba da brividi. Se Fazio voleva fare una cena tra amici, lo poetva dire, non c’era bisogno di trovare la scusa del festival. La maggior parte dei giurati con la musica ha poco e nulla a che fare (vedi Dandini, Batterzaghi, Marcorè, Giordano). Non capisco, si ha la possibiltàdi dare potere alla competenza e tutte le volte ci si frena, come se  premiare i migliori fosse un peccato. Ma l’esibizioni continuano, e forse con quella che ha deluso di più. Sul palco Annalisa, accompagnata dall’urlatrice Emma Marrone. La prova è decisamente difficile, decidono di confrontarsi con Per Elisa scritta da Battiato per Alice che l’ha portata al Festival diSanremo nel 1981, vincendolo.
Una caduta verso il basso tremenda. Le due urlano, appaiano sguaite, “indemoniate” come le ribattezza la Littizzetto. Niente da fare, la classe di Alice è stata definitivamente sotterrata con questa esibizione. Vista dal punto di vistadel televoto però, invitare una come la Marrone che sul palco di Sanremo ha stravinto, è stata una furbata mica da poco, scommetto che Annalisa grazie a questo giochino risalirà presto la classifica.I Marta Sui Tubi invece si giocano la partita usando l’arma della qualità, invitando come ospite Antonella Ruggiero, una delle regine indiscussa della canzone italiana. Insieme interpretano Nessuno, un pezzo del 1959, avendo l’accortezza e la furbizia di lasciare quasi tutto lo spazio alla Ruggiero, che dopo le urlatrici dà una lezione di grazia e classe mica da poco. E’ la volta di Raphael Gualazzi che usa un’altra strategia, ovvero quella di presentare una  canzone del nostro passato prossimo, senza doversi confrontare con mostri sacri, evitando così il rischio di un confronto pericoloso. Infatti presenta Luce, tramonti a nord estcantata nel 2001 da Elisa.
L’arrangiamento stravolge il pezzo, non riuscendo a far capire se i vituosismi pianistici in chiave jazz lo migliorano o lo snaturano troppo.E’ la volta dei Modà che presentano Io che non vivo, un brano del 1965 portato al festival da Pino Donaggio. Un’interpretazione sguaiata, cialtrona, troppo carica che diventa quasi macchietta, insomma in perfetto stile Modà. Cristicchi si misura con un’altra pietra miliare della canzone italiana, Endrigo, artista da lui celebrato in più occasioni. La canzone con cui si misura è una delle più belle canzoni italiane che sia mai stata scritta: Canzone per te. L’interpretazione è delicata, senza sovrastrutture,  a volte davvero la semplicità paga, quando quello che deve venire fuori non è altro che poesia.Si riparte con il duo Molinari-Cincotti, lei sembra appena uscita dal Moulin Rouge. Sono accompagnati dal maestro Cerri e presentano Tua, un pezzo del 1959.



 Lei stona, risulta sopra le righe, insomma niente, roba da balera. Maria Nazionale invece sceglie un pezzo che sembra scritto per lei: “Perdere l’amore” portata al successo da Massimo Ranieri. Lei, sempre fornita di scollo vertigionoso, roba da chiederle il porto d’armi, regala al pezzo il pathos necessario, peccato l’arrangiamento che anche qua lo fa scadere a tratti nel pezzo da balera.C’è ancora la scia degli appalusi per Maria Nazionale, quando arriva Marco Mengoni che si presenta forse con il pezzo più dificile di tutti: “Ciao amore ciao” di Tenco. L’interpretazione è più dalidaiana, ma insomma,contando la portata del compito, Mengoni non se la cava male, Certo la domanda sorge spontanea, non capisco se misurarsi con certi geni della canzone italiana sia più da coraggiosi o da incoscienti.Finalmente un po’ di leggerezza con gli Elii, introdotti da un emozionato Rocco Siffredi. La scena è esilaranete, strumenti piccolissimi e loro travestiti da nani che cantano Un bacio piccolissimo. Si divertono e ci divertono. A volte a non prendersi troppo sul serioci si guadagna eccome. Gazzè ha fatto il karaoke, forse insieme ad Annalisa è stato quello che ha deluso di più, anche perché aveva scelto una canzone potenzialemnte nelle sue corde: Ma che freddo fa, portata al successo dalla grandissima Nada nel 1969.
 Insomma anche questa regina della musica italiana si meritava di meglio.Chiara ci ha regalato invece un momento di classe con Almeno tu nell’universo, scritta da Lauzi per l’immensa Mia Martini. La sua interpretazione risulta misurata e più che altro, come al solito Chiara riesce a dimostrare di essere una grande interprete personalizzando la performance senza snaturarla.Finiscono le esibiioni gli Alamamegretta, orfani di Raiz che per questioni religiose non può presentarsi. Quasi quasi questo risulta essere  un bene. In sostituzione infatti arrivano tre ospiti: Dj Clementino, Marcello Coleman e il virtuso Jam Senese.
Presentano Il ragazzo della via Gluck in una versione reggae divertente, arricchita dagli splendidi camei di Senese e con la sopresa di un messaggio finale antiproibizionista, veramente sopra le righe e ormai anche passatello. Finita il momento Sanremo Story, eccoci a decretare i primi vincitori di questo festival, ovvero quelli della categoria giovani.Si parte con Antonio Maggio, un futuro Cristicchi senza l’arguzia di questo. Ilaria Porceddu è tanto bellina, ma urla senza sapereperché, moda aperta dai talent e a quanto pare non accora passata. I Blastema non si capisce cosa sono, cosa vogliono essere e perché lo vogliono, una tragedia insomma. Renzo Rubino è l’unico che spicca. Bella interpretazione per una bella canzone melodica in pieno stile sanremese. La giuria di qualità premia però Il Cile come miglior testo.
A Rubino va fortunatamente il Premio della Critica Mia Martini, ma la gara la vice Maggio, che insomma meglio della Porceddu e dei Blastema è, anche se senza troppi guizzi.La considerazione è che cinque serate siano troppe, già in questa puntata se ne accusano i colpi. Il momento revival sicuramente nella maggior parte dei casi non è stato all’altezza, la stanchezza si fa sentire su più fronti, non ci resta altro che resistere.



(Barbara Dardanelli)