Ne Il Sussidiario del 12 settembre è stata presentata la XVIII edizione del Festival Internazionale di Musica ed Arte Sacra che ogni autunno si svolge nelle Basiliche del Vaticano e porta a Roma grandi complessi orchestrali come i Wiener Philharmoniker, la Illuminart Philarmonic Orchestra, il Philharmonischer Chor an der Saar, il Palatina Klassik Vocal Ensemble, l’Orchestra e Coro del Kazan ed il Coro del Monastero Donoslav di Mosca.
Di questo programma compatto e intenso, ho selezionato Die Sieben Letzten Worte Unseres Erlèser am Kreuze di Haydn per due motivi: il soggetto ha ispirato vari compositori nel corso dei secoli e questa è stata una rara occasione per ascoltare la prima e originale versione filologica del lavoro.
Tra gli altri, Orlando di Lasso, Heinrich Schàtz, Saverio Mercadante, Charles Gounod, César Franck, Théodore Dubois, Charles Tornemiere, Lorenzo Perosi, Ruth Echlin, Sofia Gubaidulina e James MacMillan hanno composto opere basate sulle Sette Ultime Parole di Cristo sulla Croce. Il testo (il libretto, se volete) è tratto dai Vangeli di Marco, Luca e Giovanni. Tuttavia, il nome del compositore più associato al testo è Haydn. Joseph Haydn non solo ha scritto la partitura musicale più famosa delle Sette Ultime Parole, ma ha anche composto le quattro versioni più famose.
La prima è del 1786. E’ quella ascoltata il 14 settembre nell’affollatissima Basilica di San Paolo Fuori le Mura. E’ nata come una commissione della Cattedrale di Cadice per una celebrazione del Venerdì Santo: è un brano orchestrale di un’ora ed un quarto circa per un organico di una trentina di elementi. Il suo debutto è stato nella Cattedrale e prima di ogni movimento (chiamato da Haydn Sonata) il Vescovo ha letto, in latino, il passo specificamente legato al movimento medesimo e, secondo quanto riferito, ha aggiunto un commento. Nel 1786, a ragione della recente ristrutturazione e dell’espansione della Cattedrale, nella Chiesa c’erano opere dei più grandi artisti dell’epoca, tra cui dipinti di Goya. L’aggiunta di musica del più grande compositore contemporaneo aveva, quindi una sua forte logica: la musica serviva come tramite tra le parti parlate (la lettura in latino del testo) e le riflessioni del Vescovo.
Anche se ha attirato importanti direttori (ad esempio, ci sono tre diverse registrazioni di Riccardo Muti con tre orchestre di spicco), questa versione orchestrale non è conosciuta tanto quanto l’arrangiamento successivo per quartetto d’archi. Haydn utilizzò la partitura per altre due versioni: una per fortepiano e una corale.
La sfida di Haydn era quella di comporre sette movimenti strumentali meditativi. Sette Adagio di fila di poco meno di dieci minuti ciascuno– otto, se si conta l’introduzione Maestoso ed Adagio – potrebbero rendere l’ascolto molto monotono ed un po’ ampolloso. Fortunatamente, Haydn ne era ben consapevole e, cosa più importante, era un maestro senza pari dei movimenti lenti. Concluse l’opera con un movimento breve Presto e con Tutta Forza, per rappresentare il terremoto al momento stesso della morte di Gesù. Il risultato fu uno dei maggiori successi di Haydn (secondo la sua stessa opinione). Ha creato un’opera che sfida le convenzioni e gli stili, moderna ed antica allo stesso tempo. Vale a dire senza tempo.
Nell’enorme ma acusticamente perfetta Basilica di San Paolo, i Weiner Philharmoniker hanno reso la composizione splendidamente. Come ai tempi di Haydn, non c’era nessun direttore d’orchestra, ma Rainer Honeck (da una famiglia di musicisti e un membro dell’orchestra dal 1981) è stato il concertmaster, ossia guidava mentre suonava il violino. Honeck e i suoi colleghi sono stati grandi nel gestire i movimenti lenti con un attento fraseggio. I brevi testi sono stati letti in latino e nelle altre principali lingue moderne, ma sono stati espressi unicamente dalla musica strumentale in modo tale da creare l’impressione più profonda anche sugli ascoltatori più inesperti. Honeck aveva un tocco leggero e padroneggiava l’ensemble.
Il pubblico è stato entusiasta.