Quando un regime, una dittatura prende il potere, la prima cosa che viene vietata è la musica. Ci sarà una ragione. Succedeva nella Russia sovietica, dove esistevano vere e proprie liste di artisti rock occidentali vietati perché il loro ascolto avrebbe causato corruzione e anticomunismo nei giovani, succede adesso nell’Afghanistan dei talebani. Nella Russia comunista si vietava Tina Turner per l’eccessiva carica erotica, Julio Iglesias (!) perché considerato neofascista, i Van Halen autori di propaganda antisovietica, mentre i Village People, noto gruppo gay, avrebbero inneggiato alla violenza. I giovani russi ingegnosamente riuscirono a supplire in parte il boicottaggio tagliando a cerchio lastre per i raggi X su cui effettuavano registrazioni di dischi pirata ottenuti clandestinamente.



Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani ha dichiarato al New York Times che “La musica è proibita nell’islam, ma speriamo di poter persuadere le persone a non fare queste cose, invece di fare pressioni”. Nel linguaggio talebano, “fare pressioni” significa frustare, picchiare e anche impiccare chi trasgredisce. Così era vent’anni fa e così sarà di nuovo. Qualche giorno fa un giovane afgano noto per i suoi video dove si esibisce in modo impeccabile nella breakdance, stile di ballo americano, ha lanciato un messaggio in cui dice che teme che sarà ucciso. Ma i talebani non fermano solo la musica occidentale, come i sovietici. Vietano anche gli strumenti musicali tradizionali.



In realtà, sin dai primi secoli, nell’islam è fiorito un forte dibattito sulla possibilità di eseguire e ascoltare musica, ma come sempre nell’islam non esiste una sola indicazione, ma tante varianti, a seconda dell’interpretazione. Verso l’XI secolo si era arrivati a condannare la musica qualora inducesse in tentazione, cioè provocasse desideri sessuali (“La voce di una donna è sempre vergognosa”) o voglia di bere alcolici sottraendo tempo alla preghiera: “La musica è permessa a meno che non si tema la tentazione. La voce femminile potrebbe sedurre l’ascoltatore. Guardare le interpreti è sempre vietato. Ascoltare la voce di cantanti donne nascoste è vietato ugualmente se evoca immagini tentatrici. Guardare un ragazzo imberbe è proibito solo se c’è pericolo di tentazione”. La regola che deve essere seguita, quindi, è relativa al rischio di indurre in tentazione: se questo è temuto si è fuori legge. Secondo il Profeta in persona, ascoltare troppa musica trasforma in “scimmie e porci”. Come si spiega allora che sin dai primi secoli in Arabia e in Egitto ma anche altri paesi islamici sia fiorita una vivace cultura musicale, tanto che strumenti usatissimi in occidente provengono proprio da quel mondo, come il liuto, il flauto, il violino e la chitarra stessa? Dipendeva sicuramente da quanto chi governava fosse un despota o meno, e certamente le canzoni dovevano sempre essere ispirate al Corano, ma in realtà molte erano anche canti d’amore.



Quello che ne deduciamo è che la musica, in qualunque forma essa sia, fa paura a una religione dispotica come è quella islamica (lo faceva fino a poco tempo fa anche ai cristiani). Perché la musica significa libertà dello spirito, e poi libertà da condividere. La musica vera è, da sempre, la manifestazione per eccellenza della libertà e di quanto essa sia insita nel nostro io. La più palese esternazione dei propri sentimenti, delle proprie emozioni. Nei secoli dei secoli, attraversando paesi e tradizioni differenti ha sempre rappresento un veicolo di messaggi culturali. La cultura sveglia il popolo, ridesta le menti delle persone, assopite a causa dell’omologazione mentale e ideologica che impongono le forme di governi. La musica diceva il filosofo inglese Aldous Huxley, “esprime l’inesprimibile”, cioè quello che il cuore di tutti gli uomini a tutte le latitudini contiene. Privare l’uomo di questo, significa robotizzarlo. Quello che vogliono i talebani, ridurre le persone come degli zombie.

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