Nuova condanna nei confronti di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e leader del governo civile del Myanmar deposto il 1 febbraio 2021 da un colpo di Stato militare. La donna, già condannata a 11 anni per corruzione, istigazione alla rivolta ai militari, violazione delle regole Covid e della legge sulle telecomunicazioni, è stata condannata ad altri 6 anni di carcere per altre quattro accuse di corruzione. In tutto 17 anni che data l’età della Suu Kyi sono il chiaro segno di volerla eliminare per sempre dalla vita politica del Paese, soprattutto in vista delle elezioni che dovrebbero tenersi nel 2023.



“È in atto uno scontro mondiale tra autocrazie e democrazie” ci ha detto in questa intervista Cecilia Brighisegretario generale di Italia-Birmania Insieme e membro del comitato etico di Etica Sgr “con Russia e Cina impegnate a spartirsi il mondo, dall’Ucraina al Myanmar, e a sostenersi a vicenda”. In questo scenario manca completamente, ci ha detto ancora, una seria e decisa presa di posizione dell’Occidente, che ha delegato tutta la vicenda all’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale (Asean).



Aung San Suu Kyi condannata ad altri 6 anni di carcere con le solite accuse risibili e infondate. È un segnale che la giunta militare non ha nessuna intenzione di retrocedere dalla posizione repressiva che ha assunto?

È assolutamente così. È soprattutto un chiaro segnale che i militari vogliono disfarsi di lei per sempre.

E ancora nessuna o scarsissime reazioni di protesta internazionali. Perché?

C’è stata una reazione dell’ultima ora da parte di Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, che ha chiesto la liberazione incondizionata immediata per lei e per gli altri prigionieri politici, ma non mi meraviglio di questo atteggiamento. L’Unione Europea ha delegato la gestione della vicenda del Myanmar all’Asean, l’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale, e l’Asean più di tanto non ha mai fatto. Non c’è ancora stato un passo avanti rispetto ai cinque punti concordati con la giunta militare a fine aprile 2021 che chiedevano una vaga cessazione delle violenze, e nulla a proposito della liberazione dei prigionieri politici come Aung San Suu Kyi e il presidente Win Mynt.



Lei ritiene che queste scarse reazioni internazionali siano dovute al timore di innervosire Pechino?

Pechino, ma anche Mosca. L’Europa ancora non ha chiara l’importanza politica di una soluzione positiva della vicenda birmana, che ha un’importanza che va oltre il paese stesso.

Cioè?

Siamo davanti a uno scontro in atto tra autocrazie e democrazie. Lo vediamo in Ucraina e lo vediamo anche in Myanmar. Qualcuno ricorderà le dichiarazioni congiunte di Pechino e Mosca alle ultime Olimpiadi cinesi. È in atto una strategia congiunta di spartizione del mondo. Lasciare che in Myanmar venga consolidata la giunta militare è un fatto molto grave. L’Ue dice frasi scontate, come la necessità di schierarsi per la democrazia, ma è stato detto anche dopo la recente esecuzione a morte di quattro prigionieri politici. È ora di cambiare passo.

Il governo italiano si adegua a questo atteggiamento?

Purtroppo sì. Ne ho parlato con la direttrice del ministero degli Esteri, entrambe siamo d’accordo che si cominci a fare qualcosa. Recentemente sia il ministro degli Esteri cinese che quello russo sono passati dal Myanmar,  Lavrov ha sottoscritto accordi economici e militari, il capo delle forze armate birmane è andato a Mosca per ottenere aiuti militari. C’è un aumento delle relazioni che non sono più soltanto di amicizia. La  Cina ha ovviamente forti interessi geopolitici ed economici. Si è registrato un forte malessere dell’Asean che a novembre se non dovesse cambiare nulla sembra voglia applicare l’articolo 20 dell’organizzazione che dovrebbe consentire la sospensione del Myanmar. È tutto da vedere se sarà così, o se ci sarà una reazione più forte degli Usa e dell’Ue.

Quali iniziative potrebbero cambiare la situazione?

La cosa più importante oggi in vista della prossima assemblea delle Nazioni Unite è il riconoscimento del Governo di unità nazionale che si oppone alla giunta militare. Sarebbe comunque solo un primo passo, a cui dovrebbe seguire il finanziamento economico dell’opposizione democratica; finanziamento che oggi nessun Paese applica.

Com’è attualmente la situazione sociale ed economica?

È gravissima, c’è una svalutazione della moneta molto forte e un fortissimo aumento del prezzo dei carburanti e dei generi alimentari. In questo quadro anche i cambiamenti climatici contribuiscono. I contadini con cui siamo in contatto ci dicono come non piova quasi più e senza acqua non possono far crescere le sementi. C’è il rischio di una carestia. Nelle zone industriali le donne guadagnano 40 euro al mese lavorando più di dieci ore al giorno. Abbiamo denunciato la presenza di aziende italiane come Oviesse e altre dell’Unione Europea che lavorano con imprese cinesi presenti in Birmania in condizione di sfruttamento.

(Paolo Vites) 

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