Un rapporto aggiornato sulla situazione in Myanmar è stato presentato il 23 settembre da Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, alla 48esima sessione ordinaria del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
Il rapporto descrive in dettaglio le diffuse violazioni perpetrate dal 1° febbraio 2021, giorno del colpo di Stato, da parte dall’esercito (Tatmadaw) contro il popolo del Myanmar, l’economia in caduta libera e l’impatto devastante della pandemia di Covid-19. Più di 1.120 persone sono state uccise, oltre 8mila persone arrestate e l’uso della forza da parte dell’esercito contro i manifestanti ha spinto alcuni oppositori a imbracciare le armi, provocando scontri in tutto il Paese. Secondo l’Alto commissario c’è il rischio che gli scontri si trasformino in un conflitto in piena regola.
Il 14 settembre Aung San Suu Kyi è ricomparsa in tribunale dopo non aver presenziato ad alcune udienze per motivi di salute. La 76enne leader birmana ha già passato un totale di 15 anni agli arresti fra il 1989 e il 2010 ed è stata di nuovo presa in custodia dall’esercito e detenuta in un luogo segreto dal giorno del golpe. La vincitrice del premio Nobel per la pace del 1991 è sotto processo in tre diversi tribunali, accusata di una serie di reati che sembrano pretestuosi e creati apposta per coinvolgerla in procedimenti legali per anni negandole così di nuovo la possibilità di fare politica. Ricordiamo che il partito di Suu Kyi, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), dopo avere stravinto con il 57,7% dei voti le elezioni del 2015, la prima consultazione democratica dal 1960, ha ottenuto l’83,2% alle elezioni del 2020, annullate poi dai militari con il colpo di Stato.
Mentre il popolo birmano (54 milioni) protesta contro l’esercito e soffre vedendo calpestata la volontà espressa in libere elezioni, c’è un altro “attore” sulla scena birmana che sembra contento della nuova situazione creatasi con il golpe: la Cina. Durante i pochi anni di governo dell’Nld i rapporti con la Cina sono sempre stati improntati alla prudenza, cercando di trarre vantaggi dalla collaborazione con il potente e ingombrante vicino – con il quale la Birmania condivide più di 2mila km di confine –, ma evitando di farsi divorare come è successo a tanti altri paesi.
Sin dal 2017 la Cina ha offerto finanziamenti e la messa in opera di una serie di infrastrutture nel quadro della Nuova Via della Seta, la principale delle quali è il corridoio economico Cina-Myanmar e la costruzione di un porto per grandi navi a Kyaukpyu, nel Golfo del Bengala. La costruzione del corridoio e di un gasdotto è strategico per la Cina, perché darebbe uno sbocco al mare alla provincia cinese dello Yunnan (47 milioni di abitanti, capitale Kunming), facendo evitare a petroliere e portacontainers di transitare nello stretto di Malacca e circumnavigare il sud-est asiatico per consegnare le loro merci nella parte sud-occidentale della Cina.
Tuttavia ad aprile 2019, al secondo meeting della Nuova Via della Seta con i leader di 40 paesi presenti a Pechino, San Suu Kyi al momento di sottoscrivere i 30 e più progetti proposti dai cinesi ne accettò solo 9, per evitare di cadere nella trappola del debito con la Cina. Le cose cambiarono nel corso dell’anno con l’aumento di critiche da parte di media, organizzazioni di attivisti e capi di Stato occidentali per il comportamento dei militari birmani con i Rohingya musulmani, che costrinsero San Suu Kyi a difendere il Myanmar di fronte al Tribunale internazionale dell’Aia nel dicembre 2019.
Abbandonata dall’Occidente, a San Suu Kyi non restò che accettare la crescente sponda offerta dai cinesi, un miglioramento delle relazioni sancito dalla visita in Myanmar del presidente Xi Jinping nel gennaio 2020, a quasi 20 anni dall’ultima visita di Stato di un membro del governo cinese. È stata l’ennesima applicazione del metodo cinese, già visto in tanti altri paesi, in particolare africani, e da ultimo in Afghanistan: dove l’Occidente assume una posizione di critica morale o si ritira, il governo del Partito comunista cinese interviene con promesse, benefici e richieste di proprio interesse per ottenere vantaggi commerciali e strategici, estendendo ulteriormente la sua sfera di influenza.
Da allora, a differenza del corridoio economico Cina-Pakistan, non sembra ci siano stati grossi progressi nei lavori della costruzione della zona economica speciale e del porto di Kyaukphyu (Kpsez) fino allo scorso agosto da quando, secondo il giornale online The Irrawaddy, il regime militare, a seguito di pressioni cinesi, sta procedendo velocemente alle gare d’appalto per i progetti del Corridoio economico, nonostante il paese sia in una situazione di emergenza.
A febbraio, la Cina aveva definito la presa del potere dei militari come un “rimpasto di governo”, guardandosi bene dal criticare i militari per la violenta presa del potere, per poi, prendendo atto che le possibilità che l’Nld tornasse al potere si affievolivano, arrivare a chiamare la giunta del Myanmar “governo” e offrirgli milioni di dollari di aiuti per finanziare nuovi progetti di sviluppo. La Cina è inoltre interessatissima alle risorse naturali del Myanmar, dove molte società minerarie ed energetiche sono gestite dai militari. In particolare, la Cina importa dal Myanmar grosse quantità delle famose terre rare, dalle quali estrae gli elementi chimici indispensabili nelle batterie per le macchine elettriche, nei cellulari e nei pannelli solari.
Per finire, il colpo di Stato in Myanmar è funzionale alla propaganda interna cinese, fornendo argomenti alla tesi che la democrazia non è un valore universale e che la democratizzazione non porta vantaggi come sostenuto dall’Occidente.
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