Sapete qual è l’ingrediente segreto della Draghinomics? La lotta all’evasione. Già: la vecchia, cara, fallimentare lotta all’evasione. Cavallo di battaglia, bolso, zoppo e guercio, dell’unico ministro delle Finanze che la storia patria ricordi combattivo, quel Vincenzo Visco che tra il 2006 e il 2007 insanguinò i sogni (solo i sogni) dei tanti evasori italiani che temettero per qualche mese di dover pagare pegno. Poi, più nulla. Fino ad ora.
Sì, perché quando il presidente del Consiglio più prestigioso degli ultimi trent’anni (ma che dico trent’anni? Dobbiamo risalire a De Gasperi) dice che farà la riforma del catasto senza far pagare nulla di più a chi già paga, sta dicendo in realtà un’altra cosa, che cioè farà pagare le tasse sulle case agli abusivi, a quel milione di proprietari-ombra di case fantasma che già dieci anni fa Gabriella Alemanno, sorella di cotante fratello, censì dall’alto scranno di presidente dell’Agenzia del territorio senza però con questo ottenere per l’erario il becco di un quattrino.
Ci risiamo, con i corsi e ricorsi storici dell’impotente lotta all’evasione. L’unica differenza con la mafia è che quest’ultima dicono non esista, mentre che l’evasione esiste non lo negano nemmeno gli evasori, rettificando però che è sempre colpa di qualcun altro.
Lasciando agli appassionati del ramo le disquisizioni sugli zero-virgola del Pil della Nadef, la Nota di aggiornamento al documento economico e finanziario, è questo che emerge dalla giornata di cifre e programmi vissuta ieri: la riforma fiscale, la riforma del catasto. Le faranno. Però, sia lecito il dubitarne, non morderanno la carne viva dei furbi finché un governo – ci riuscirà, questo di Mario Draghi? – non avrà la forza politica di rendersi veramente, ma veramente impopolare.
Ma qui casca l’asino, direbbe Totò: rendersi impopolare aumentando le tasse sulle case non è l’obiettivo del governo Draghi. Quindi, diciamolo subito: meglio non appassionarsi alla riforma del catasto e degli estimi – che già nel ’96 il governo Prodi definì inadeguati –, tanto non cambierà nulla: l’ha detto Draghi! Meglio concentrarsi sulla riforma dell’Irpef, il pezzo forte dell’annuncio di ieri.
Ebbene, diciamocelo chiaro: è un nome sbagliato per una cosa giusta. Il nome sbagliato è “riforma”, la cosa giusta da fare è la lotta all’evasione, che però non si fa con la riforma dell’Irpef. Si fa con due cose: il presidio fisico del territorio e l’innovazione digitale. Il presidio fisico del territorio è reso impossibile dal depotenziamento della polizia voluto dalle sinistre nei quarant’anni del loro malgoverno (per procura di coalizioni fintamente osteggiate); e l’innovazione digitale è stata messa in mani tanto altisonanti quanto – per ora, e col beneficio del dubbio – inconcludenti.
Nel comunicato del governo si legge ben poco, in materia di riforma fiscale: “Gli interventi di politica fiscale che il governo intende adottare determinano un rafforzamento della dinamica espansiva del Pil nell’anno in corso e nel successivo. Rilevano in particolare la conferma delle politiche invariate e il rinnovo di interventi in favore delle Pmi e per la promozione dell’efficientamento energetico e dell’innovazione. Si avvia inoltre la prima fase della riforma dell’Irpef e degli ammortizzatori sociali e si prevede che l’assegno unico universale per i figli sia messo a regime”.
Chiaro? Impossibile che lo sia: “Prima fase della riforma dell’Irpef” non significa niente. Quel che servirebbe è stanare i milioni (milioni) di evasori parziali e totali che creano quel 16% ufficiale (almeno 20% reale) di economia non rilevata (leggi: sommersa) che crea lavoro ma anche morti sul lavoro, benessere ma anche malessere, che è sicuramente fuorilegge ma che, per la Costituzione materiale che regna in Italia, non è mai stata seriamente contrastata.
Potrà mai la riforma fiscale del governo dal consenso più ampio e bipartisan mai sperimentato conseguire l’obiettivo di riformare il fisco, facendo pagare non più tasse a chi già le paga ma finalmente tasse a chi non le hai mai pagate? Lecito dubitarne.
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