Nadia Toffa è morta. Il compianto Lorenzo Albacete, dottore in fisica e teologia, mi raccontò una volta di aver assistito con un gruppo di intellettuali non credenti alla visione di un documentario che presentava la fine della vita d’un artista malato, un drammaturgo, che, con grinta e coraggio, era riuscito a completare il suo ultimo lavoro prima di morire. Tutti erano meravigliati e parlavano con entusiasmo della sua vittoria. Lorenzo mi riferì la sua reazione al film: “Ma che vittoria? È morto! Non c’è più! Quelli che l’amavano non lo vedranno più! Il suo coraggio non l’ha salvato!” Era contento per come l’artista aveva portato a termine la sua opera, ma questo per lui non cancellava il dramma tremendo della sua scomparsa, del fatto che un uomo che vibrava con creatività e umore era cancellato dalla scena umana.
Tutto questo mi tornava in mente oggi mentre leggevo vari articoli sulla scomparsa della conosciutissima giornalista Nadia Toffa.
Sono stato colpito da alcune cose che hanno detto di lei. Evidentemente era una persona energica e “tosta”, con uno slancio deciso e positivo. Tanti commenti riferivano della sua positività e di come, nonostante la prova della malattia che l’ha portata via, non voleva smettere di lavorare, di vivere. Sono rimasto molto colpito di tali osservazioni.
Però quello che mi ha fatto più riflettere era vedere riportate alcune frasi del libro che racconta la sua esperienza di malattia, Fiorire d’inverno. Il cancro, che lei definiva “il bastardo”, era anche un “dono” in quanto le portava novità importanti – riflessioni, esperienze e rapporti, nonché un ritrovare la fede e la preghiera – che altrimenti non sarebbero arrivate.
Mentre c’è chi l’ha criticata perché le sue sembravano parole frettolosamente ottimiste che non tenevano pienamente conto del dramma doloroso della lotta col male, io mi sono sentito molto provocato dalle sue parole. Mi chiedevo cosa avesse veramente visto per poter dire parlare di “dono”. In un comunicato ufficiale un suo collega ha scritto che Nadia aveva “perdonato l’imperdonabile”. Cosa aveva toccato questa donna perché potesse parlare di dono e perdono dentro la sua lotta col “bastardo”?
Sto con il mio amico Lorenzo Albacete nel non lasciarci perdere di vista la natura implacabile e imperitura della morte, dello sgomento abissale e traumatico che deriva dal contemplare il disfarsi dell’esistenza umana. E non condivido troppo facilmente il parlare di “vittoria” della giovane Nadia perché aveva combattuto con coraggio. Il coraggio non sempre porta alla vittoria. Ma sono toccato al cuore dalla sua parola “dono”. Per poter parlare lucidamente così, sono dell’opinione che dovesse aver toccato con mano un’esperienza eccezionale. Se per forza qualcosa mi sarà tolta, non vale tanta pena soffrirne; non mi ispira grandi sacrifici. Se però qualcosa o qualcuno mi parla del “per sempre” allora tutto cambia.
Per poter vivere umanamente ho bisogno che qualcosa o qualcuno mi parli così. Nadia forse ha sentito qualcosa o qualcuno finalmente parlarle del “per sempre” dentro la sua strada dolorosa, e perciò non poteva non chiamarla un “dono”.
In ogni caso, voglio anch’io poter chiamare la vita, in tutto, comunque e dovunque, un dono, e chiamare anche il “bastardo” che mi toglie i miei tesori un dono.
Pregherò per te, Nadia Toffa, affinché la vittoria di Cristo che unicamente ci da il “per sempre”, possa essere davvero il tuo destino. E tu, prega per me affinché io possa oggi aprirmi al “per sempre” e cominciare a chiamare i miei “bastardi” i miei doni.