Il corridoio di Lachin, per arrivare nel Nagorno Karabakh, continua a rimanere chiuso. E gli armeni intrappolati nell’area tra l’Armenia e l’Azerbaijan sono protagonisti, loro malgrado, di una vera e propria crisi umanitaria, che la guerra in Ucraina ha fatto passare in secondo piano.
“Rischiano di morire di fame” dice Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, console onorario dell’Armenia in Italia, figlio di un sopravvissuto del genocidio armeno, commentando il blocco dell’area voluto dagli azeri. Una situazione sempre più drammatica per la quale l’Occidente si sta muovendo, anche se, finora, non ha ottenuto gran che: “A parole si muovono tutti – continua Kuciukian – ma non succede nulla”.
Perché prosegue il blocco del corridoio e dei rifornimenti agli abitanti della regione?
Praticamente sono due mesi che questo passaggio vitale per 120mila armeni del Nagorno Karabakh è bloccato, malgrado ci siano i mantenitori di pace russi, che però non sgombrano il passaggio. Mancano elettricità, gas, petrolio, medicine, cibo: i banchi dei supermercati sono vuoti. Hanno messo le tessere per il razionamento: un disastro. Io paragono la situazione a quella del ghetto di Varsavia: un blocco totale attorno ai confini con un’unica porta dalla quale non si passa.
Gli azeri dicono di esercitare il blocco per tutelare l’ambiente, un evidente pretesto. Qual è la richiesta di facciata che copre i veri motivi dell’intervento?
Dicono che vogliono andare a vedere la situazione di una miniera a Nord, per vedere se lì l’attività si svolge in modo corretto. Siccome non gliela fanno vedere, bloccano il corridoio. Evidentemente non c’entra nulla con le vere ragioni e cioè che si vuole depauperare la zona dagli armeni.
Quali sono gli scenari possibili, quali opzioni hanno di fronte agli armeni del Nagorno Karabakh per reagire a questa situazione?
Hanno tre opzioni. La prima è di diventare cittadini azeri. Si sono dichiarati indipendenti, ma gli azeri dicono che è un territorio loro. Oltretutto è stato stabilito che il territorio fa parte dell’Azerbaijan, anche se è sempre stato indipendente, da sempre, in epoca ottomana come persiana, ma anche zarista e sovietica. Gli azeri vogliono togliere questa autonomia. La questione per gli armeni è anche culturale. Se anche volessero diventare azeri bisogna ricordare che quando la regione, pur autonoma, è stata sotto l’Azerbaijan, non è mai stata sviluppata, è stata lasciata senza industria, senza trasporti, non si poteva insegnare l’armeno a scuola: se dovessero tornare azeri sarebbero vessati come in passato. Adesso, tra l’altro, c’è un’armenofobia montante, nelle scuole si insegna l’odio.
Questa opzione, insomma, non possono prenderla in considerazione. Quali altre scelte possono avere?
Potrebbero emigrare, andare via, in Armenia, in Russia, dove vogliono: sarebbe una pulizia etnica e culturale. C’era un analogo territorio, il Nachicevan, autonomo, assegnato all’Azerbaijan, abitato da armeni: lì non c’è più neanche un armeno. Non solo, c’erano 250 monasteri che sono stati rasi al suolo. Un intero cimitero di 10mila croci di pietra è stato completamente distrutto. Gli emissari dell’Onu che volevano andare a visitare questo luogo non hanno potuto farlo. Ultimamente hanno utilizzato sistemi satellitari per vedere se erano rimaste le fondamenta dei monasteri: non ci sono più. Se se ne vanno tutto ciò che c’è di armeno viene cancellato. E gli armeni sono lì da duemila anni, con le loro città, monasteri, chiese; c’è la più antica scuola armena fondata nel 400. Gli armeni cercano sempre di conservare la loro cultura: sono sparsi in tutto il mondo, ma in ogni dove, compreso ad esempio a Milano, mantengono le loro tradizioni, hanno la loro chiesa.
C’è anche la possibilità di rimanere e di cercare di resistere?
La terza opzione è di resistere. Gli abitanti della regione sono dei montanari abbastanza duri, potrebbe anche succedere che riescano ad opporsi a questa situazione. A questo punto, però, potrebbe verificarsi un genocidio: gli azeri potrebbero entrare e uccidere tutti, donne, vecchi e bambini.
Qual è il ruolo dei Paesi dell’area, della Russia, ad esempio?
L’Armenia rientra in un trattato di mutua difesa e assistenza fra le ex repubbliche sovietiche (Csto, nda), comprese Russia, Kazakhistan, Kirgizistan, Bielorussia e altre. Nel caso ci sia un’aggressione questo trattato deve entrare in funzione. C’è stata un’aggressione nell’ottobre 2020 (degli azeri a cui risposero Armenia e Nagorno Karabakh, nda) ma nessuno è intervenuto. La Russia, al di là della questione ucraina, ha interesse a sostenere gli azeri perché petrolio e gas russi passano attraverso le pipeline dell’Azerbaijan, arrivando fino in Italia con il Tap. Vuole mantenere buoni rapporti con gli azeri a costo di inimicarsi l’Armenia.
L’Unione Europea ha fatto qualcosa?
L’Europa ha chiesto di inviare degli osservatori, ma la Russia ha detto no. Gli armeni degli Stati Uniti, che a Los Angeles sono più di un milione, hanno chiesto a Biden di creare un ponte aereo per portare cibo e materiale in Karabakh. L’Azerbaijan ha risposto che qualsiasi aereo passerà sul suo territorio verrà abbattuto.
E la Turchia, invece, quale ruolo sta giocando?
La Turchia è alleata strettissima dell’Azerbaijan, il suo obiettivo risale ancora a cento anni fa: vuole ricongiungersi con i Paesi turcofoni e adesso è interessata moltissimo ad avere un pezzo di territorio armeno.
Quindi è a rischio anche l’Armenia?
Certo, già tre o quattro territori sono stati conquistati. La Turchia vuole un passaggio, l’Armenia sarebbe disposta a concederlo sotto il controllo della dogana. Ma i turchi vogliono proprio una parte di territorio a Sud.
Si sta muovendo qualcosa per risolvere la situazione?
Biden ha mandato un suo emissario, l’Europa vorrebbe mandare osservatori, sono tutte cose in fieri, nel frattempo la gente muore di fame. Nessuno sa come andrà a finire.
C’entrano anche la Georgia e l’Iran?
È stata convocata una conferenza dei Paesi asiatici, la Georgia insieme alla Russia e alla Turchia ha escluso l’Armenia. L’Iran è vicino all’Armenia, non vuole che venga scippato del territorio a Sud perché è un punto di passaggio per le sue merci. Ultimamente si sono ulteriormente deteriorati i rapporti tra Iran e Azerbaijan perché in quest’ultimo Paese c’è una base militare degli israeliani. Pare che siano partiti da lì i droni che hanno attaccato la fabbrica di Isfahan.
(Paolo Rossetti)
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