Le ultime stime parlano di oltre 50mila profughi che dal Nagorno Karabakh si sono trasferiti in Armenia. Dopo il blitz da parte dell’Azerbaijan che ha portato all’occupazione della regione autonoma gli armeni che la abitavano hanno deciso di andarsene in massa. Non si fidano delle promesse azere di una vita futura in armonia con loro. D’altra parte per quasi dieci mesi sono stati affamati dal blocco dell’unico corridoio che permetteva i rifornimenti nelle zone in cui si trovano le loro case. E poi c’è una storia di avversione e di odio nei loro confronti che risale nel tempo, fino ad arrivare al genocidio degli armeni da parte dei turchi, ora alleati degli azeri.
Ma il pericolo ora non è solo per l’Artsakh (l’altro nome del Nagorno Karabakh). Ora rischia anche l’Armenia. Lo spiegano Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origine armena, e Siobahn Nash Marshall, filosofa che ha dedicato testi al tema dei genocidi e del negazionismo (da ultimo I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno, 2018). Le responsabilità ricadono anche sull’Occidente, che non ha preso nessuna iniziativa per difendere gli armeni del Karabakh.
Migliaia di abitanti del Nagorno Karabakh hanno già lasciato le loro case per andare in Armenia. È davvero in atto una sorta di pulizia etnica?
Arslan: Si sa, andranno via tutti. L’intenzione è quella di una pulizia etnica. Questa gente è lì da millenni, scappano perché sanno che gli azeri faranno loro quello che è stato fatto in altre zone simili abitate da armeni. Stalin, plenipotenziario per il Caucaso di Lenin negli anni post Prima guerra mondiale, organizzando le tre repubbliche transcaucasiche Armenia, Georgia e Azerbaijan, decise di ritagliare nei territori abitati dagli armeni due regioni che attribuì all’Azerbaijan, ma come regioni a statuto speciale. Uno dei due territori, a Ovest dell’Armenia, è il Nakhchivan. Diventato azero anche se staccato dall’Azerbaijan, è stato completamente de-armenizzato. Era abitato da armeni da tempo immemorabile con chiese, cimiteri, tracce estesissime della loro presenza. Dal 1920 a oggi gli abitanti di etnia armena sono stati cacciati e sono confluiti in Armenia, togliendo ogni traccia della loro storia. Volando con un aereo sopra il Nakhchivan non si vedono neanche le fondamenta delle chiese: hanno distrutto tutto.
La paura, quindi, è che, nonostante le dichiarazioni ufficiali degli azeri, il modello che seguiranno ora nell’Artsakh sia quello?
Arslan: Certo. Le dichiarazioni ufficiali contraddicono il loro comportamento da anni: coltivare l’odio per gli armeni in ogni dettaglio. Quando è caduta l’Unione Sovietica gli armeni dell’Artsakh hanno chiesto l’autonomia che spettava loro. L’odio nei confronti degli armeni esplose in alcuni massacri, allora gli armeni si ribellarono, combatterono e vinsero la guerra. Siamo tra il 1991 e il 1994. Il conflitto finì con una tregua e la conquista da parte degli armeni dell’autonomia e di alcuni territori di confine come salvaguardia della loro esistenza. Intanto però l’Azerbaijan, con gli Aliyev, è diventato una dittatura personale, si è armato fino ai denti e ricompattato con la Turchia. Ai turchi interessa tagliare in due l’Armenia e prendere un corridoio di terra che congiunga Ankara con tutte le repubbliche ex sovietiche islamiche dell’Asia centrale. All’Azerbaijan serve la Turchia da cui viene armato, da cui compra i droni prodotti dal genero di Erdogan. Altri ne compra da Israele.
Ma l’armenofobia da dove nasce, da motivi religiosi?
Arslan: Anche. Ma prima di tutto da motivi di possesso territoriale. Credo poi che una dittatura che agisce continuamente in una certa direzione ottenga, alla fine, la persuasione del suo popolo. A Baku, capitale dell’Azerbaijan, negli anni 50 vivevano un sacco di armeni. Poi è cambiato tutto.
Alla luce di questi elementi storici cosa bisogna aspettarsi, quindi, per la gente del Nagorno Karabakh?
Arslan: Loro hanno resistito, ma la guerra del settembre 2020 li ha travolti. Lì c’è stato il grande errore dell’Armenia. Non del piccolo Nagorno Karabakh, che con 150mila persone è contro 8 milioni di azeri e 70 milioni di turchi. Quando l’Azerbaijan ha vinto tre anni fa si è ripreso i territori di confine, ha ridotto l’Artsakh ai minimi termini intorno a Stepanakert. Gli armeni del Karabakh sanno bene cosa succederebbe loro: i proclami sono proclami. Se dovessero vivere là, gli uomini dovrebbero diventare soldati dell’Azerbaijan, i loro villaggi potrebbero avere la corrente un giorno sì e un giorno no, nessuno potrebbe andare all’estero a studiare.
Diventerebbe una situazione simile a quella del Nakhchivan?
Arslan: Esatto. Infatti gli armeni del Karabakh scappano. Il rischio è che anche lì venga fatta sparire ogni traccia della presenza armena. Ci sono dei monasteri bellissimi. Quello di Dadivank è un luogo di una spiritualità incredibile. Finora è stato protetto da soldati russi. Quando se ne andranno cominceranno a distruggerlo pezzo dopo pezzo. Magari non lo faranno subito, ma prima o poi succederà.
All’Armenia cosa si può imputare in questa situazione?
Arslan: L’Armenia è stata governata senza guardare al futuro. Non c’è una dittatura, anche se si tratta di una democrazia un po’ vacillante, come tutte quelle ex sovietiche, ma dovevano capire che gli azeri si armavano. L’attuale primo ministro (Pashinyan, nda) è un parolaio andato al potere con quella che chiamavano “rivoluzione di velluto”, ma ha fatto alcuni errori clamorosi, tra cui incontrarsi diverse volte con il presidente azero Aliyev, lasciarsi sfuggire parole compromettenti e soprattutto non armare minimamente l’Armenia.
Dopo questa vittoria azera è a rischio anche l’Armenia?
Sì, il progetto della Turchia e dell’Azerbaijan è di impadronirsi anche dell’Armenia. Tanto è vero che a Baku hanno già istituito un ramo del ministero degli Esteri per l’Azerbaijan dell’Ovest, che sarebbe l’Armenia. È un progetto bello chiaro, non lo nascondono.
C’è qualcuno che può aiutare l’Armenia? Gli Usa hanno organizzato un’esercitazione militare con gli armeni, anche se con pochi soldati.
Arslan: Il primo ministro vorrebbe guardare a Ovest ma si è rivolto alla Ue. E non possiamo che ridere di questo. L’Europa non ha fatto niente. Adesso si rivolge agli americani. Su quel versante qualcosa si è mosso: al congresso Usa sono state depositate tre proposte di legge per un intervento umanitario diretto e per elaborare una strategia che promuova la sicurezza in Nagorno Karabakh.
Qual è la vera origine di tutto questo? Si può tentare una spiegazione?
Nash-Marshall: Il vero mistero è da dove nasce l’odio dei turchi verso gli armeni. Una domanda che si stanno facendo tutti coloro che hanno a che fare con l’Armenia. Anche Robert Melson, che ha scritto un articolo sui massacri hamidiani del 1894-1896, si è chiesto perché. L’unica risposta che è riuscito a dare è che si sentono inferiori.
Inferiori in che senso?
Nash-Marshall: Prima del genocidio armeno l’80% dell’economia dell’impero ottomano era in mano cristiana, di greci e armeni. Questi ultimi erano bravi come mercanti, a mettere su fabbriche, come professionisti. Questo è un aspetto comune anche agli ebrei. È appena uscito un libro di Stephan Ihrig (Giustificare il genocidio. La Germania, gli armeni, gli ebrei da Bismarck a Hitler, Guerini 2023) in cui si spiega con tanto di documenti che i tedeschi hanno fomentano l’odio dei turchi per gli armeni con tutta una propaganda in questo senso. C’è una cosa che sottovalutiamo: pensiamo che siccome noi non ricordiamo più il passato, anche i turchi o i musulmani in generale non si ricordino più del passato. Ma loro il senso della storia non lo hanno perso: Erdogan vuole ricostruire l’impero ottomano. I nostri governi lo hanno dimenticato, vivono in una sorta di sogno, pensano di potersi sedere su un prato a cantare e che questo basti.
Anche l’Occidente (l’Unione Europea come gli Usa) quindi ha le sue colpe?
Nash-Marshall: Certo. Chi ha fatto qualcosa di concreto? Quello che sta succedendo nel Nagorno Karabakh si stava preparando da dieci mesi, da quando gli azeri hanno bloccato il corridoio di Lachin che collegava con la regione.
(Paolo Rossetti)
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