PELOSI A TAIWAN, VENTI DI GUERRA TRA CINA E USA: LE MINACCE DI PECHINO

La tensione tra Cina e Usa è sempre più alta dopo l’arrivo ieri pomeriggio di Nancy Pelosi a Taiwan: viaggio “chiacchierato” per settimane, mai confermato fino a che ieri l’aereo della speaker della Camera Usa è atterrato a Taipei, ricevendo calorosa accoglienza da parte dell’isola “ribelle” (secondo il regime cinese). Proprio da Pechino sono giunte subito durissime reazioni, tanto a “parole” quanto sul fronte militare: il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha accusato gli Stati Uniti di “tradimento” e di essere «il più grande distruttore della pace odierna». Immediatamente sono state avviate esercitazioni militari (anche a “fuoco vivo”) dal 4 al 7 agosto, chiudendo già sei punti di accesso all’isola di Taiwan: chiuso lo spazio aereo per voli civili sullo Stretto, 21 jet cinesi sono entrati nello spazio aereo di Taipei per voli di ricognizione atti a dimostrare potenziali velleità belliche contro il “tradimento Usa”.



Non solo, Pechino ha accusato gli Stati Uniti di aver “violato” il principio di un’unica Cina e ha intimato a Washington di «assumersi la responsabilità della visita a Taiwan della speaker della Camera, Nancy Pelosi», definita ancora «una provocazione» dal viceministro degli Esteri cinese, Xie Feng, all’ambasciatore americano a Pechino, Nicholas Burns, convocato d’urgenza ieri dopo l’arrivo di Pelosi a Taipei. «Gli Stati Uniti devono pagare il prezzo dei propri errori. La Cina prenderà contromisure risolute, faremo quello che diciamo», ha poi aggiunto il viceministro esortando subito la Casa Bianca ad adottare «misure pratiche per eliminare l’influenza negativa della visita di Pelosi a Taiwan». Pechino ha avvertito gli Stati Uniti in modo che nessuno ancora possa «intromettersi negli affari interni della Cina. Nessuno dovrebbe sottovalutare la forte determinazione, la ferma volontà e la potente capacità del governo e del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale e ottenere la riunificazione nazionale». Immediato l’appoggio fornito dalla Russia per l’alleato cinese, accusando gli avversari americani di aver provocato volontariamente Pechino mettendo a rischio la stabilità nella regione.



LA VISITA DI NANCY PELOSI A TAIWAN: L’INCONTRO CON LA PRESIDENTE

Il rischio di una “guerra mondiale”, vedendo poi gli altri focolai attivi in questi mesi (Ucraina su tutti, ma anche Iran, Medio Oriente, Balcani) è tutt’altro che lontano e dovranno essere le diplomazie d’ora in poi a moltiplicare sforzi di pace per evitare pericolosissime escalation. Nel frattempo prosegue la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, con critiche sollevate contro la gestione della Cina dell’altro “caso emblematico” dei rapporti con il regime di Pechino, ovvero Hong Kong: «La brutale repressione contro le libertà politiche ad Hong Kong ed i diritti umani, persino con l’arresto del cardinale cattolico Joseph Zen, getta le promesse di “un Paese, due sistemi” nella spazzatura», ha detto ieri la speaker Dem in una riflessione sul Washington Post.



«Gli Stati Uniti non abbandoneranno il proprio impegno nei confronti di Taiwan», ha spiegato Pelosi incontrando stamane la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, «Veniamo in amicizia a Taiwan, veniamo in pace nella regione». Rimarcati gli importanti accordi commerciali, come il Chips Act (che offrirà sussidi per oltre 52 miliardi di dollari per la produzione di chip tecnologici), Pelosi e la leader taiwanese hanno ribadito l’unità di intenti tra Stati Uniti e Taipei per il mantenimento democratico dell’isola al largo della Cina. La Casa Bianca ha ribadito poche ore prima che Washington non riconosce l’indipendenza di Taiwan, ma ritiene comunque che nessuno possa vietare a personalità politiche americane di fare visita a Taipei. La “puntualizzazione” di Biden non basta per Pechino che ribadisce lo status di “provocazione” per lo scenario che ha portato Nancy Pelosi sull’isola: «Taiwan è un partner affidabile degli Usa e nessuna minaccia militare ci potrebbe far arretrare», ha affermato la presidente Tsai Ing-wen, assicurando come l’isola continuerà «a mantenere la linea di difesa della democrazia».