Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso in un attentato da parte di Cosa Nostra 40 anni fa domani (era il 3 settembre 1982), è stato intervistato stamane in collegamento con il programma di Rai Uno, Uno Mattina Estate. “Ricordo quel giorno con la disperazione – ha spiegato il figlio del generale – la rabbia, la volontà di non fare abbandonare all’oblio del paese quello che era accaduto, dare giustizia a mio padre… tutti sentimenti che ho elaborato in seguito, all’inizio è stata la disperazione e la voglia di andare a Palermo, quell’atmosfera impaurita in cui poteva succedere qualsiasi cosa. Furono i funerali più veloci della storia, il giorno dopo la morte era già a Santa Maria delle Grazie a Milano neanche il tempo di ricevere l’omaggio dei palermitani. Dopo quel momento ho capito in che atmosfera mio padre fosse andato a lavorare, che ostilità lo avessero circondato, ho messo al fuoco cose che solo in parte ho potuto capire”.
E ancora: “Era un’Italia che pensava che le cose che accadevano in Sicilia fossero non italiane, vi era una specie di noncuranza verso omicidi importanti ed eccellenti iniziati nel ’79 e fino al 1982. Era un’Italia indifferente alla mafia, ci volle quell’omicidio di un personaggio noto e amato dagli italiani. Non era un personaggio siciliano, era nazionale, e questo lo dice molto sul senso di responsabilità delle classi dirigenti di allora. Credo che non sia cambiato molto dal punto di vista dell’approccio politico verso la mafia mentre il Paese è cambiato molto”.
NANDO DALLA CHIESA, FIGLIO CARLO ALBERTO: “ERA MOLTO ATTENTO ALLE NOSTRE FREQUENTAZIONI”
Nando Dalla Chiesa, figlio di Carlo Alberto, ha poi raccontato chi fosse suo padre: “Era molto attento alle frequentazioni di noi figli, che non avrebbero aver dovuto nulla a che fare con la vita di un ufficiale dei carabinieri, e a Palermo ancora di più. In un’intervista che fece a Biagi nel 1981 disse che impedire la possibilità di vivere normalmente per i figli fu la cosa che gli pesava di più, era veramente molto attento e sotto questo profilo dovrebbe essere un esempio”.
Il figlio ha proseguito: “Gli chiesi con che coraggio avesse deciso di rimanere a Palermo nonostante l’isolamento, disse che sarebbe rimasto lì proprio per avere il coraggio di poterci guardare in faccia. E’ il potere della democrazia, della vita quotidiana e della vita pulita. Ancora oggi è un caposaldo della cultura anti mafiosa”.