Un ragazzo di 16 anni, Ugo R., è morto la notte scorsa a Napoli nel tentativo di compiere un furto ai danni di un carabiniere, in quel momento in borghese, che ha reagito all’aggressione esplodendo un colpo con l’arma di ordinanza. Il giovane carabiniere di 23 anni era in auto con la ragazza quando Ugo, a volto coperto, ha tentato di rapinare l’orologio al militare. Ugo, su uno scooter, era con un complice e mostrava una pistola, poi rivelatasi finta, ma che aveva tutta l’apparenza dell’arma vera. Il carabiniere, in servizio in provincia di Bologna, si è qualificato e, per difendersi, ha poi sparato tre colpi ferendo il ragazzo, deceduto poco dopo in ospedale.
Fa rabbia e tristezza questa storia dove un ragazzo, poco più di un bambino, muore in questo modo. Fa rabbia perché la morte, nella sua vita, era arrivata evidentemente prima di ieri. Era arrivata quando il giovane, ancora bambino, non andava a scuola, quando era stato educato a pane e violenza, quando, negandogli l’infanzia, genitori, parenti ed amici gli avevano insegnato che una vita vale meno di un orologio. Colpisce che la pistola usata dal giovane assassino fosse una replica di quelle usate dalle forze dell’ordine, perché sottolinea ancora di più come la vita delle forze dell’ordine fosse molto conosciuta da Ugo: tanto conosciuta da essere replicata al contrario.
Come faccio a sapere quanto ho appena detto della vita di Ugo? Non ne posso essere certo, ma lo deduco da quanto avvenuto più tardi. All’alba infatti i parenti del ragazzo hanno devastato il pronto soccorso dove era stato ricoverato. La nonna e due zie hanno poi dichiarato all’Ansa che il nipote non andava ucciso ma solo ferito; infine pare che parenti del 17enne complice siano stati a loro volta minacciati perché responsabili di aver consentito che fosse il più giovane a compiere il tentativo di rapina.
Tutti questi particolari, oltre l’indegno raid vendicativo che andrà punito nella legalità ma con rigore, parlano di malavita organizzata, di un male cioè che non è episodico ma è frutto di costumi e riti che si mescolano con quelli del sangue familiare. Adesso dovrà essere lo Stato ad esercitare in modo giusto il potere per contrastare l’arroganza di chi lo usa per sopraffare un ragazzo che sta in macchina con la propria fidanzata.
Così, un ragazzino sedicenne che doveva stare in moto solo per vedersi scompigliare la camicia dal vento, ora giace a terra vittima di un male premeditato, familiare, da cosca camorrista che l’ha voluto trasformare in una belva rabbiosa e senza scrupoli e che, per pura coincidenza, è rimasto vittima del male che voleva fare.
Ugo, il ragazzo morto ma che era già stato ucciso prima dai suoi familiari, diventa il simbolo di una violenza scura che pretende tutto e subito e che rinnega l’uomo nascondendosi dietro l’anonimato. Il giovane carabiniere invece che sta con la sua ragazza incarna quel bene della legalità che va difeso: quello che è frutto di sacrificio alla luce del sole e del lavoro onesto.