E dunque il terzo scudetto del Napoli è arrivato. Molto prima della fine del campionato, un po’ dopo rispetto gli auspici. Comunque, luccicante come non mai. Atteso, meritato, da godere lungamente. Chi ha la fortuna di vivere la città in questi giorni si meraviglierà di trovarsi immerso in una dimensione da sogno. L’impresa che sembrava impossibile apre scenari fino a ieri vietati.



Se si è capaci di tanto, se il distacco con le squadre inseguitrici è il più largo mai sperimentato, se la fantasia più sfrenata è riuscita finalmente ad andare a braccetto con la concretezza dei fatti, che cosa manca a questo pezzo di paradiso perché possa trasferire ad altri ambiti della società la stessa formula vincente? Se si è vinto così bene sul campo di calcio che cosa impedisce di farlo anche in altri ambiti?



Di questo tipo sono le domande che affiorano qua e là tra le cronache sportive bucando la compatta muraglia dell’eccitazione collettiva per il risultato conseguito. Il Napoli come esempio per Napoli. Aurelio De Laurentiis come fonte d’ispirazione per la guida e il riscatto di una metropoli per troppo tempo finita sotto i riflettori per i suoi aspetti più bui e inquietanti, camorra e disoccupazione.

Il sindaco Gaetano Manfredi non si sottrae al confronto e al gioco. D’altra parte, in questi giorni proprio non potrebbe. Dice di condividere con il patron del Club la sua visione internazionale. L’apertura mentale e la capacità di creare spogliatoio, inclusione, tra atleti di così tante nazionalità. Segno di arricchimento e punto di arrivo di un’antica tradizione di tolleranza e accoglienza.



Oggi, insomma, la gloriosa e un po’ acciaccata capitale non può sottrarsi al compito di essere all’altezza delle aspettative che suscita. Già il turismo le sta tributando importanti onori avendola scelta come meta preferita nel Paese (con le gioie e i dolori che questo comporta). Sta tornando un certo orgoglio di dirsi napoletani che si era tristemente perso con la crisi dei rifiuti e il racconto di Gomorra.

Poi qualcosa è cambiato con altre e più lusinghiere proposizioni – libri e serie tv – in grado di recuperare e restituire quel senso tutto speciale d’intendere la vita e la morte alle pendici del Vesuvio che in tempi d’incertezza e rivoluzioni spirituali sembra più adatto ad affrontare le sfide dei tempi. Scetticismo, fatalismo, istinto creativo forniscono chiavi di lettura che conquistano l’immaginario collettivo.

Questo riconoscimento della napoletanità come salvifica filosofia di vita e adesso anche come viatico al raggiungimento di traguardi impegnativi dovrebbe rendere tutti più responsabili. Dimostrare che il Ciuccio, calcisticamente parlando, può diventare primo della classe non può e non deve bastare a una comunità che voglia riemergere. Non ci si può accontentare di ballare una sola stagione.

La forza della società azzurra sta nella solidità dei conti prim’ancora che nell’abilità delle gambe dei giocatori. Ritenuto da molti e a lungo un anaffettivo uomo d’affari, quindi inadatto a competere in un campo dove ci vuole soprattutto il cuore, De Laurentiis ha smentito i detrattori compiendo un capolavoro che resterà nella storia. La concretezza che ci voleva nell’immenso mare di fantasia.

L’indipendenza economica è una condizione indispensabile per pianificare e operare senza dover cedere a indebite pressioni e ricatti. L’ormai celebre fermezza con la quale l’adesso osannato Aurelio difende la sua studiata antipatia – un modo per sottrarsi all’abbraccio che uccide – dovrebbe fare scuola. Un po’ meno piacioni, un po’ più concentrati sull’obiettivo. Qualunque esso sia.

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