Qualche giorno fa a Caserta si era verificato uno spiacevole fatto legato al Coronavirus: una donna sedeva tranquillamente su una panchina ma non indossava la mascherina. Immediatamente era stata presa di mira dai passati, in particolar modo da una signora che in modo particolarmente aggressivo – le due erano anche finite a terra, scatenando immediatamente la curiosità dei presenti – le aveva fisicamente scaricato addosso la sua rabbia. Ecco: a Napoli, possiamo dire sia successo il contrario. Cesare Abbate, fotografo che collabora con Ansa, si è distinto in questi giorni di pandemia per le immagini rubate alla popolazione che affronta l’emergenza. Questa volta, come si legge sul Corriere della Sera, la cosa non è stata presa bene da alcuni dei presenti e si è risolta con minacce e acquisizione coercitiva del contenuto della macchina fotografica.



FOTOGRAFO MINACCIATO A NAPOLI

E’ successo infatti questo: Abbate si trovava in largo Sermoneta, zona degli chalet di Mergellina nel capoluogo campano. Era poco prima della mezzanotte e il fotografo si è trovato davanti parecchie persone che, di fatto, formavano quelli che ormai sono diventati noti come assembramenti. Ancora vietati, nonostante le aperture di bar, ristoranti e locali in Fase 2: il premier Giuseppe Conte ha espressamente detto come il distanziamento sociale sia ancora in atto. Della cosa si era occupato lo stesso quotidiano, parlando di assembramenti fino alle 4 del mattino e questo nonostante i locali fossero stati chiusi alle 23, secondo ordinanza: bivacchi in strada, migliaia di persone, traffico bloccato e parecchi dei presenti senza mascherina, tanto che un residente ha raccontato di una situazione infernale.



Ebbene: Abbate si è recato sul posto per testimoniare l’evento, ma qui è stato intercettato da alcune persone che gli avrebbero intimato di togliere la scheda dalla macchina fotografica “sennò passi dei guai”. Alla fine, il fotografo è stato costretto a cedere la scheda senza poter pubblicare le sue foto: purtroppo, al netto degli assembramenti che dovranno essere giudicati da chi di dovere (e non certo da un collaboratore di agenzia che comunque non stava certo facendo quello), spiace vedere come una persona non sia nemmeno riuscita a svolgere il suo lavoro di informazione, e che la cosa si sia dovuta risolvere con la minaccia di violenze. Verrebbe da dire “coda di paglia” forse, ma ci limitiamo a riportare i fatti.

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