Chi crede ancora al Natale? Al Natale come avvenimento che tutta l’umanità attende, in cui tutta la storia spera, per il quale tutto l’universo geme come la donna nelle doglie del parto? Non è ormai adombrato di scetticismo tutto quello che si dice di attendere come dono natalizio, come novità? Come il desiderio della pace: gli angeli in cielo annunceranno ancora ai pastori la “pace in terra”, la pace che il Papa non mancherà di auspicare e domandare nella lunga litania di Paesi in guerra, di Paesi oppressi, di popoli in migrazione, condannati a miserie dimenticate o ignorate, che elencherà “urbi et orbi” prima del pranzo di Natale. Il suo “Buon pranzo!” sarà ancora l’unico augurio a diventare realtà, almeno per noi che abbiamo da mangiare?
Cosa è venuto a portarci Dio, incarnandosi, se in realtà ci sembra di ricevere così poco? Cosa riceve veramente l’umanità dal nascere in essa del Figlio di Dio? È questa la domanda essenziale da porci per rispondere alle altre, per dare corpo a quella risposta che, come canta Dylan da più generazioni, “is blowin’ in the wind”, aleggia portata dal vento, inafferrabile farfalla che col tempo si trasforma in dubbio cupo, come quelle nubi che si caricano di altre nubi fino a scoppiare in temporali devastanti.
Cosa riceve veramente l’umanità dal nascere in essa di Dio? Se Cristo ha portato qualcosa nel mondo, questo “qualcosa” deve trovarsi da qualche parte, in qualche modo, nel mondo, da duemila anni. Perché non lo vediamo? Forse Dio lo nasconde? O lo nascondiamo noi? Ma il Natale è proprio la festa che più di tutte ci ricorda, se fossimo attenti, che quel qualcosa è essenzialmente Qualcuno. Il Natale ci porta Cristo, così “solo lui” che è un bambino, inerme, senza potere, senza ricchezze, senza difese. Solo lui, tutto in balia, come ogni bambino, di chi lo accoglie, di chi ne ha cura e lo protegge, di chi lo veste, di chi lo nutre, di chi lo ama.
Quando mi mettono in braccio un neonato, provo sempre un disagio, non vedo l’ora di restituirlo alla mamma, temendo di lasciarlo cadere, di tenerlo male, di fargli male. Perché la sua fragilità e dipendenza sono totali, come se ti fosse dato su di lui un potere di vita e di morte. Tutto il suo essere, tutta la sua esistenza, dipendono da te, dalle tue mani, dal tuo gesto, dal modo con cui lo tieni, dalla tua attenzione, dalla tua cura. Forse è più facile governare un popolo che portare un bimbo. Chissà se i pastori hanno osato prendere in braccio il Gesù, neonato da poche ore, passarselo l’un l’altro, con le loro mani callose e sporche, stringerlo sui loro vestiti ruvidi e puzzolenti di pecora? Il primo che deve aver tremato a prenderlo in braccio sarà stato san Giuseppe. Ogni maschio trema di più ad esprimere tenerezza che a manifestare potenza. Ma che potenza ha l’uomo se non sa abbracciare la fragilità? L’umanità non esisterebbe senza la donna, creata da Dio proprio per avere un corpo, un cuore e un’anima che non hanno paura di abbracciare la fragilità strutturale di tutta l’umanità, quella che, come l’aurora, sorge e si rivela in ogni bambino.
Che orrore che le guerre facciano strage di tanti bambini, di tanti innocenti! Segno di un potere che non si è formato alla scuola primordiale dell’umana fragilità innocente. Tutte le tragedie dell’umanità si giocano fra la fragilità strutturale dell’essere umano e il potere che la dimentica. Un potere che non ha cura della fragilità che ha davanti a sé dimentica necessariamente quella che ha in sé, che lo corrode e distrugge con la stessa violenza che esso esercita. Gesù è venuto a portare nel mondo la fragilità del bambino, non la forza armata di un re potente.
Cristo è venuto a rafforzare la nostra fragilità, non nel senso che l’abbia resa meno fragile, o più corazzata. L’ha resa Sua, l’ha presa su di Sé, l’ha resa Sé. L’ha resa quindi divina, cioè amore, perché “Dio è amore” (1Gv 4,16) e tutto ciò che Dio assume diventa amore. Ha reso amore l’umanità di un bimbo; ha reso amore tutta la vita di un uomo, la quotidianità di Nazaret, la vita pubblica, la festa e il dolore, il morire. E amore il risorgere in Lui di tutto l’umano.
Questa risposta non è di fronte al mondo: è dentro il mondo, compenetra l’umanità. Non è vento che sorvola la storia: è Soffio di vita che respira in essa. Questa risposta è data, già si esprime là dove sorge la domanda. Tutte le esigenze del cuore, della vita, dei popoli, della storia; tutte le esigenze di pace, di aiuto, di salvezza, … tutte sorgono da un’umanità che ormai contiene la risposta, che già alberga la presenza di Colui che non solo porta pace, aiuto, salvezza, ma che è la pace, l’aiuto e la salvezza di tutti e di tutto. Una presenza donata e presente, non là dove il potere affronta l’umana fragilità, ma là dove l’umanità la vive e l’accoglie, col tremore e la tenerezza di chi abbraccia un bambino.
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