“Erano una notte e un giorno speciale, carichi del mistero che riempiva di cose belle e faceva sentire tanto amati”. Rievoca così la notte di natale della sua famiglia, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. Era l’umiltà dei pastori, di chi non si fa dio inseguendo le illusioni di questo mondo. Dio viene in un bambino, ma non si limita a questo: “Lui è il pellegrino che ci mostra il cammino e ci chiede di seguirlo, perché non ci perdiamo. Cresce con noi. Perde e insegna a perdere, ma proprio perché vuole vincere, vivere, liberare dal nemico”. Mons. Zuppi, “don Matteo”, ha risposto alle domande del Sussidiario.
Don Matteo, è un altro Natale di guerra, la morte fa da padrona. Che cosa può convertire l’uomo alla pace?
L’ascolto del Vangelo è la prima conversione dell’uomo. Noi spesso pensiamo alla conversione come rinuncia, sacrificio. Invece è incontrare una presenza, far entrare Gesù nella nostra anima perché si metta a cena con noi. È da tanto che bussa!
Che cosa vuol dire oggi cercare la pace?
Per i cristiani la pace la dona Gesù, ma poi è per tutti. Ce la lascia per farla crescere e per spenderla. Anche perché non si è in pace da soli! Il cristiano è un uomo di pace, perché forte dell’amore di Gesù.
Cosa dobbiamo fare?
Lasciarci toccare il cuore da un amore che libera dal male, perché non basta la giustizia retributiva: solo l’amore libera dal male e costruisce la pace. Converte alla pace anche la consapevolezza della mostruosità della guerra, di questa pandemia che ha un terreno di coltura che la prepara e le permette poi di innescare un meccanismo difficile da fermare anche da chi lo ha innescato.
Non crede che ne abbiamo smarrito la gravità?
Certo. Il valore e il costo della pace li comprendevano bene i sopravvissuti della Seconda guerra mondiale, tanto che sapevano bene che la terza sarebbe stata l’ultima. Lo abbiamo dimenticato, o siamo storditi da una pace, la nostra, che appare talmente forte da non aver bisogno di essere difesa. La morte dovrebbe indurre a scegliere la pace.
Lei ha composto una preghiera per la pace in cui chiede a Dio in dono la forza per essere “artigiani di pace“. Ma la pace che ci vuole, dal medio oriente all’Ucraina, è quella dei trattati, quella tra Stati, potenze, per far finire le stragi.
La preghiera è la forza misteriosa ed efficace che ispira a essere artigiani di pace e a comporre il quadro capace di garantire il dialogo. Chi prega non dice “adesso ci pensi tu”, ma sempre dice “aiutami a iniziare da me, a farlo io”. Per il resto la pace va cercata ripudiando la guerra e difendendo gli strumenti sovranazionali in grado di comporre gli inevitabili conflitti. Non abbiamo fatto la manutenzione né della pace, né degli strumenti che possono garantirla. Per tessere l’ordito, delicatissimo, della pace occorre parlare con tutti. Solo così può garantirla e che sia giusta e sicura.
“Donaci – dice ancora la sua preghiera – la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo”. E chi non crede, cosa può chiedere? Con quale speranza?
La benevolenza è per tutti, come la gentilezza. Sono espressioni tratte, non a caso, dalla Fratelli tutti, che non è un’enciclica rivolta ai cristiani, ma a tutti, credenti o no. Per i credenti dovrebbe essere ancora più facile, essendo figli di Dio e di un Dio che ci insegna a riconoscere nell’altro, chiunque egli sia, il nostro prossimo, e che libera. Chi crede dovrebbe essere ancora di più amante della pace, essendo una via delle beatitudini, che abbatte ogni muro di divisione. Tutti abbiamo la responsabilità della pace, che è anche di tutti.
Oggi Dio si fa carne, viene in un Bambino, dice la Chiesa. E poi? Cosa fa, intanto che la nostra vita scorre?
Lui è il pellegrino che ci mostra il cammino e ci chiede di seguirlo, perché non ci perdiamo. Cresce con noi. Perde e insegna a perdere, ma proprio perché vuole vincere, vivere, liberare dal nemico. Non osserva da spettatore. È curioso: questo osservare da spettatori pensano di farlo gli uomini, che, come disse papa Francesco, pensano di essere protetti dentro una bolla di sapone e guardano da spettatori, cioè come se la realtà non li riguardasse. Gesù vede, fissa, ama, si commuove, riguarda, contempla. E sarà sempre come il pellegrino di Emmaus, a chiederci cosa abbiamo nel cuore. Lo riconosciamo nello spezzare il pane, quando finalmente capiamo che abbiamo bisogno di un uomo che dona speranza vera.
Lei viene da una famiglia che è sempre stata immersa nella vita della Chiesa. C’è un ricordo del Natale, riguardante la sua infanzia, che l’ha segnata per sempre? Com’era vissuto il Natale in casa Zuppi?
Erano una notte e un giorno speciale, carichi del mistero che riempiva di cose belle e faceva sentire tanto amati. Gioia, regali, proponimenti, casa, famiglia, dolci. Soprattutto tanto tanto amore. Intorno al Bambino si crea subito una famiglia di poveri e umili, di pastori che lodano e sono tutti contenti.
Di queste famiglie ce ne sono sempre meno. Lei è vescovo e presidente dei vescovi italiani: la vita cristiana che obiettivi deve porsi? Cercar di tornare a quando si stava meglio? O qualcos’altro?
Occorre partire da quello che siamo e capire il senso e il dono che è essere famiglia. Più passa il tempo e più capisco che solo se la Chiesa è domestica le nostre famiglie saranno piene dell’amore di Cristo, vissute da cristiani che vi portano l’amore che imparano.
“Venite e vedete” è il metodo cristiano. Ma venite dove, e come essere fedeli a questo metodo?
È un problema di cuore e di legami. Cuore, perché il Signore cerca quello, e se incontriamo la Sua presenza, cambia tutto. La fedeltà è sempre una questione di amore e richiede l’aiuto della comunità. Non si segue il Signore da soli e l’aiuto della comunione è decisivo. Non si ha Dio per Padre se non si ha la Chiesa per Madre. Madre che genera alla vita.
Prenda i giovani e le loro famiglie: oggi colpisce come la violenza sia la cifra dei rapporti umani più quotidiani; violenza e fragilità. Cosa si può fare davanti a questa crisi?
Contemplare la fragilità di Dio che si fa bambino, esposto alla violenza dei potenti, e non scappare dalla propria fragilità cercando una forza che ci distrugge. Dio mostra la vera conoscenza: l’amore. Questo ricompone il peccato dell’origine e ci permette di smettere di farci dei, di impadronirci di qualcosa che già abbiamo e che ci rovina nel rapporto con chi amiamo. La violenza è l’io che si fa Dio, che si crede forte e distrugge e si distrugge. Il Natale è piegarsi sulla nostra fragilità e su quella del prossimo, e pieni di questo amore capire qual è l’unica e vera forza.
Qual è oggi il suggerimento che viene da lei, come persona che ha a cuore il Destino di altri uomini e donne, a chi sta governando questo Paese?
Unire, dialogare, discutere. Parlare non è pensare tutti la stessa cosa o fare finta, ma parlare senza contrapporsi, umiliare o vincere l’altro rendendolo nemico, insultandolo. Fare questo significa solo ignoranza distruttiva, non contrasto generativo! Occorre cercare quello che serve a tutti, e nessuno lo ha mai da solo.
Cosa significa cercare il bene comune?
Cercare il bene comune non ha niente a che fare con gli interessi di parte che si impongono su quelli di tutti. È mettere sempre al centro la persona, qualunque essa sia, perché se ne mettiamo in discussione una alla fine rischiamo sempre tutti. Amare e difendere la vita sempre, dal suo inizio alla sua fine. E per tutti.
Questo è il Natale che apre il Giubileo. Cosa chiede un “anno santo” a noi cristiani?
Fare memoria, ringraziare, chiedere perdono e perdonare, scegliere il futuro rinnovati o, meglio, finalmente se stessi, riconciliati con il proprio io perché riconciliati con Dio e con il prossimo. Papa Francesco ha indicato la speranza: non si può vivere senza, perché ascolteremmo solo la paura, che è cattiva consigliera, fa credere necessarie cose che ci fanno male o ci portano a fare male, sentendoci in diritto di farlo perché abbiamo paura. La paura ci fa cercare sempre sicurezze. Oltretutto ne abbiamo tante, ma non bastano mai e diventiamo insicuri, banalmente egocentrici. La speranza inizia povera e umile com’è, eppure ci fa affrontare avversità terribili! Ecco la grandezza del Natale, che ci fa affrontare il male, non evitarlo. La speranza significa che il male non ha più l’ultima parola. Dio non smette di avere speranza in noi. Ma solo seguendo Lui, umili, saremo grandi. La speranza non delude. Non riempiamo il cuore di delusioni! Ci saranno sempre, ma la speranza è più forte. Non abbiamo tutto, ma abbiamo l’amore che ci fa trovare tutto e vedere tutto.
Cosa vuol dire passare la Porta santa?
La vera porta che dobbiamo aprire per passare la Porta santa è il cuore. Non dobbiamo avere paura di farlo e aprirlo a Dio, che è disinteressato alle apparenze e attento solo a ciò che siamo, non a ciò che abbiamo o appariamo. L’esatto contrario di tante nostre preoccupazioni e giudizi. Diamo ragione della speranza che è in noi e sempre spes contra spem.
Una missione non facile.
Sappiamo oggi che il domani è venuto, viene, verrà. La guerra sembra impossibile da sconfiggere. Ma un solo David può neutralizzare Golia. Occorrono operatori di pace per quel che ancora non c’è, ma che sappiamo ci sarà.
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