MOSCA – Il Natale compie in modo clamoroso l’attesa che costituisce il cuore dell’uomo. È un evento di grazia, dirà Paolo, scrivendo al suo amico e figlio spirituale Tito: è apparsa la grazia di Dio che è Cristo (cfr. Tt 2,11). Certo, è clamoroso questo compimento, questo apparire della grazia solo per chi con il cuore semplice attende, è tutto proteso a questa grazia.
In questo senso ha ragione Simon Weil, quando parla del dono di grazia, lei che forse ha potuto goderne solo alla fine, e dice che non lo si può nemmeno cercare, bisogna solo attenderlo, questo dono. Non possiamo cercarlo, non perché sia sbagliata la ricerca, ma perché non potremmo trovarla, in quanto non è di questo mondo.
Ma se attesa, allora la riconosciamo questa grazia, quando la incontriamo. Non è di questo mondo, ma è apparsa in questo nostro mondo. Ricordo anni fa di avere sentito don Giussani fare l’esempio di uno che attende una persona alla stazione, ma non sa chi sia, ne ha solo una descrizione sommaria (un po’ come il cuore dell’uomo che vibra in modo particolare al presentarsi dell’umano atteso). Non può mettersi a correre su e giù per la stazione, a cercare questa persona, può solo attenderla, quando arriva il flusso delle persone che scendono dal treno.
Ma può riconoscere questo Ospite dell’anima perché anche l’attesa è dono. È il primo dono della grazia (grazia creatrice), perché l’attesa è lo specchio in noi della grazia, ciò che permette di riconoscere la grazia quando accade. Cosa ha permesso ai pastori di “vedere” l’apparire di questa grazia (grazia redentrice)? Quello strano tremore del cuore che li spinse ad andare a vedere.
Il Natale ci dice anche che questo dono tanto a lungo atteso non può essere più distrutto, ma può essere reso inutile. Ci accorgiamo che quella grazia non agisce più in noi perché diveniamo affannati, sempre alla ricerca di qualcosa “d’altro” che soddisfi la nostra sete: queste ricerche “d’altro” sono infatti la via più facile, ci fanno stare alla larga dall’inquietudine del cuore, dall’attesa di quella grazia che sola può soddisfare, ma che non si può addomesticare come gli idoli di cui parla Simone Weil.
Come è importante questa sottolineatura in questo tempo in cui cerchiamo di tornare alla “normalità” a tutti i costi. Il Natale ci dice che non dobbiamo cercare di ricostruire il mondo come era prima della pandemia, dobbiamo accogliere la novità di grazia che è Dio fatto uomo, nato “per” noi. A partire da questa accoglienza saremo capaci di ricominciare a costruire la civiltà della verità e dell’amore con tutta la creatività e originalità che provengono dall’apparir della grazia.
E questo chiede a noi una decisione, la decisione del sì della Madonna. Cosa ci aiuta a riprendere sempre questa decisione? Il primo grande strumento è un cuore che prega, un cuore che percepisce al fondo di sé la presenza di Altro da sé, che si è fatto come bambino, bisognoso di tutto. E il dialogo del nostro “io” con questo bambino è fatto più di silenzi che di parole, più di adorazione che di azione, in ogni caso non è un mio monologo, ma una stupita riverenza.
Per esempio, quando ci alziamo al mattino non diamo per scontato che ci alziamo perché Cristo c’è, domandiamocelo, forse questo ci aiuterà ad esserne più coscienti durante la giornata, a sorprenderci come Cristo risponde alla nostra attesa, come ci viene incontro.
Dice san Bernardo: “Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria. Signore, che è quest’uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione? (cfr. Sal 8,5). Da questo sappia l’uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. Come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato” (san Bernardo).
Santo Natale!
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