DA MOSCA – In una sua riflessione sull’attesa nell’Avvento Divo Barsotti dice qualcosa di molto interessante per noi oggi. Barsotti parla della speranza piena di desiderio e di amore della sposa che at-tende colui che già conosce e che ama e dal quale sa di essere amata. Tutta la nostra vita, tutta la vita della Chiesa, è desiderio e speranza, è aspettare Qualcuno e tendere a Lui come dice Paolo: mi protendo a Cristo, perché Lui si è proteso verso di me (Fil 3,12).
Il nostro Avvento a Mosca è passato nella speranza che la pace, o almeno una tregua, ci sarebbe stata donata, che i prigionieri sarebbero stati liberati, che ci saremmo dedicati a ricostruire, è così bello ricostruire. Ricostruire mette assieme, fa guardare con più simpatia anche i nemici, gli avversari, i concorrenti.
Questo non è avvenuto come attendevamo noi, però questa nostra attesa non è stata tradita, perché eravamo già tesi a quel Qualcuno presente, come la sposa nella meditazione di Barsotti, che già fa esperienza dello Sposo presente. Stavamo già ricostruendo su quella pietra, che scartata dai falsi costruttori di pace, è divenuta per noi, artigiani di pace, pietra angolare.
Questo nostro ricostruire si è chiamato perdono, perché il tessuto sociale non si ricostruisce da sé, le pietre non si mettono da sole le une sulle altre, ci vuole una pietra angolare, ci vogliono degli operai, e ci vuole un buon cemento.
Le pietre, fuor di metafora, sono gli uomini, e gli uomini sono come sono, cattivi, bellicosi, sempre pronti a recriminare, ma se trovano uomini di buona volontà (“pace in terra agli uomini di buona volontà” recitava la traduzione del Vangelo di Natale, Lc 2,14) che con il cemento del perdono e con pazienza li mettono assieme sull’unico possibile fondamento per una pace vera, allora si comincia già a vedere la profezia dell’apostolo Paolo, che “in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo, Egli infatti è la nostra pace, Colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,13-14).
Veramente il Natale è il miracolo di questo Bambino, che è Dio tra noi, oppure non è, resta solo lo spauracchio per i potenti di questo mondo e quindi è da eliminare il prima possibile, come fu per Erode, che scaricò la sua rabbia e paura in una guerra addirittura contro dei bambini, i santi innocenti.
Alcuni anni fa uno studente scrisse in un tema: “Cristo morente, pur essendo in grado di perdonare egli stesso i suoi carnefici, non lo fa, forse perché in quel momento più di ogni altro viveva la sua umanità. Deroga questo compito al Padre, quasi a volerci dimostrare come noi il perdono non possiamo darlo, se non guardando a chi già ci ha perdonato, prima ancora che noi lo avessimo chiesto e voluto. Questo, il perdonare, è un cammino lungo, difficile, sovrumano. Ma è un cammino che porta a nuove possibilità, a un gusto diverso del vivere”.
Questo è il Natale, che inaugura un cammino di desiderio e di speranza che porta alla pace, alla verità, alla felicità infinite, passando per il sacrificio della Croce e del perdono. E allora la vita si trasfigura in nuove possibilità, in un nuovo gusto di comunicare la pace del Natale.
Noi non siamo migliori degli altri, siamo dei privilegiati, dei graziati, per comunicare ad altri l’annuncio del perdono, che ci è accaduto. Così ci si mette assieme, magari anche attorno a un tavolo, per ricostruire, per edificare.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.