Carlo è detenuto nel Carcere Due Palazzi di Padova. Ecco la sua lettera.
Per anni, in carcere, la notte di Natale l’ho vissuta come fosse un incubo, una sofferenza, un’ansia, un dolore acuto: raccontarlo è semplice ma provare a viverlo, un Natale in carcere, è una cosa inspiegabile. Per anni non vedevo l’ora che passasse quel giorno, i giorni prima, quelli impastati di musica e canzoni: io facevo di tutto per non pensare alle festività, ma trovavo sempre un qualcosa o un qualcuno che me lo ricordava: “Dannazione!” mi ripetevo.
La notte di Natale, poi, era un incontro di boxe con me stesso: la sera della vigilia, dopo la chiusura delle celle, mi infilavo sotto le lenzuola, cercavo di guardare un po’ la televisione ma, appena vedevo qualche pubblicità natalizia, era come mi dicesse: “Per te, però, non sarà Natale!”. Me ne accorgevo da solo quando, guardando il tavolo della mia cella, vedevo un piatto caldo e tante mancanze sedute attorno: la mia famiglia, i miei affetti più cari, i miei amici. Non poter incrociare i loro sorrisi, non sentire i loro abbracci sulla mia pelle, non parlare con qualcuno, non avvertire l’amore di qualcuno per me era come morire lentamente. E dicevo: “Meglio una morte veloce che una sofferenza lentissima, che ti logora dentro”. E non trovavo soluzione migliore che alzare le coperte, infilarmi a letto, la faccia rivolta verso il muro: lo chiamavo “il muro del pianto” perché sapeva tutto di me, era diventato il mio migliore amico, il mio confidente. Era l’unica cosa rimasta a disposizione.
Di giorno potevo anche sorridere di fronte a tutto il mondo ma era di notte che mi ritrovavo a fare i conti con me stesso: sotto le coperte tornavo a sentirmi bambino, un bambino che si dava da fare per cercare un po’ di calore, d’amore, un qualcosa che assomigliasse ad un abbraccio, qualche sicurezza in più. Il Natale, per anni, mi ha distrutto l’anima: era come se qualcuno passasse con la carta vetrata sopra la pelle di un bambino appena nato. Doveva essere il più bel giorno dell’anno, il giorno della felicità più grande, della tavola imbandita a festa, la giornata di Babbo Natale. Invece per quindici Natali consecutivi – tanti sono i Natali che ho passato sotto le coperte, dietro il cemento freddo di un carcere – quel giorno è stato giorno di morte e di dolorosa rassegnazione.
Oggi, però, mi trovo a ringraziare quella morte per avermi insegnato, correggendomi al prezzo di tante fatiche, il rispetto per la vita. Quella vita che, quando ero ragazzo, ho offeso e preso in giro con l’uso scellerato della libertà. Una libertà che manco mi accorgevo di possedere fino al giorno in cui l’ho perduta per sempre. Mi sono accorto tardi di lei: una distrazione che sto pagando ad un prezzo altissimo.
Quest’anno, dopo quindici natali, ritrovo il sorriso di un nuovo inizio. Per la prima volta ritornerò a festeggiarlo in una famiglia: mi han aperto le porte della loro casa, mi hanno preparato un letto, c’è una sedia per me attorno alla tavola. Andrò a messa in una chiesa, incrocerò degli sguardi nuovi, stringerò le mani di gente che, forse, non sa nemmeno che sono un detenuto. Ho la gioia in cuore, ma c’è una paura gigantesca a farmi compagnia: quella di non ricordarmi più come si faccia a festeggiare il Natale. È un giorno che ho festeggiato per troppo tempo al buio: pensare di ritornare a festeggiarlo alla luce del sole è qualcosa che mi spaventa, che faccio persino fatica ad immaginarmi. Penso abbia a che fare con la felicità! Quella felicità che, qualche giorno fa, mi ha travolto e tolto il fiato quando ho abbracciato Papa Francesco: “Posso abbracciarti, per favore?” gli ho detto. Mi ha stretto forte, io che sono una pecora nera. Quell’abbraccio è come se avesse acceso l’albero di Natale nel mio cuore: son già parecchi giorni che sento il Natale in cuore: mi è bastato sentirmi amato per capire che non devo avere nessuna paura della luce. Che non sono più fatto solo per il buio.
Oggi è Natale. Mai come quest’anno è Natale. Il più bello dei miei Natali. Il giorno in cui ritornerò in carcere (mi mancano ancora pochi anni) ci tornerò con il corpo. Il mio cuore sta già iniziando a volare oltre quelle sbarre.
Carlo
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